Su una fortezza abbandonata della Normandia, all’interno di una splendida area protetta, sopravvive una delle rare comunità nidificanti europee di cicogna bianca

Per molto tempo, nell’immaginario un po’ pudico e un po’ disneyano della nascita di piccoli esseri umani c’è stato lo zampino – anzi la slanciata zampa – della cicogna. Questo elegante uccello, dalla grande apertura alare, sarà sembrato ai nostri antenati uno dei pochi ad essere in grado, con precisione e nel rispetto di tutte le norme di volo, di consegnare a domicilio bambini che non avevano alcuna intenzione di nascere sotto un puzzolente cavolo, tantomeno di essere partoriti da madri troppo religiose per confessare ai fratelli più grandi un concepimento biologico col loro (forse) padre naturale.

Imbarazzo a parte, la cicogna in Italia ha fatto ben presto la sua scomparsa. Già dal Settecento, infatti, si perdono molte di quelle tracce presenti in libri e scritti che già dai tempi di Virgilio, Ovidio e Plinio documentano i voli e le nidificazioni della cicogna nel Belpaese. Gli enormi nidi costruiti su comignoli, campanili e torri diminuiscono vertiginosamente, soprattutto perché – per via del suo compito di “corriere dei piccoli” – questo uccello ha l’infelice tendenza di vivere vicino all’uomo (lo si potrebbe definire un animale sinantropico), esponendosi così ai vili attacchi dei bracconieri e diventando molto suscettibile al degrado ambientale. Persino Dante accenna nella Divina Commedia che la specie è presente nel Lazio durante il XIV secolo e altre fonti la segnalano come nidificante in Pianura Padana fino al ‘600. Pian piano, però, l’Italia si trasforma in una sorta di buco nero dove praticamente ogni cicogna che prova a nidificare viene infastidita, depredata delle sue uova e spesso abbattuta dai fucili. Si crea così nella penisola un vuoto durato quasi 300 anni tra le due popolazioni occidentali e orientali.






Solo verso la fine degli anni ’50 alcune coppie provenienti dalla Francia cercarono di riprodursi nuovamente nel Nord Italia, ma furono tentativi vani, ostacolati dalle schioppettate di qualche “ambientalista col fucile” (come amano autodefinirsi i cacciatori, senza comprenderne l’insita ironia). Durante il più recente lustro, l’Italia viene attraversata un paio di volte all’anno da un nutrito gruppo di cicogne in migrazione che però, per costruire i propri nidi preferiscono aree più tranquille in Germania, Olanda, Francia, Svizzera e Balcani occidentali. Poi, solo negli ultimi anni, maggiori controlli venatori, un’aumentata sensibilità e, molto probabilmente, un lieve miglioramento della qualità degli ecosistemi palustri dalle quali le cicogne attingono la maggior parte del loro nutrimento (soprattutto insetti, ma anche anfibi, rettili, micromammiferi e qualche piccolo pesce) la specie sta lentamente ritornando in Italia, seppur con poche coppie.
Delle 7 specie di cui si compone il genere Ciconia solo due, la Cicogna bianca (Ciconia ciconia) e la Cicogna nera (Ciconia nigra) sono presenti in Europa e sono tutte, più o meno, minacciate (sebbene la C. ciconia desti meno preoccupazioni per il lieve aumento negli ultimi anni). A differenza della sua cugina bianca portatrice di bambini, la nera non è gregaria, ama la solitudine e sosta presso le rive boscose di fiumi e laghi europei, con qualche rarissimo avvistamento, per questo prezioso e piuttosto taciuto, nella nostra penisola.



Per entrambe, comunque, la possibilità di essere osservate in natura e in discreto numero in Italia resta ancora, purtroppo, un privilegio di pochi fortunati. Oltre alla caccia, le modifiche degli ecosistemi, soprattutto quelli di acqua dolce, l’inquinamento e dell’uso indiscriminato di pesticidi e fitofarmaci in agricoltura hanno portato ad alterazioni di lungo termine, difficili da recuperare in pochi decenni, che hanno causato una riduzione delle popolazioni europee di oltre il 60% nell’ultimo secolo con alcune aree in cui le cicogne risultano ormai regionalmente estinte. C’è un luogo, però, della Francia settentrionale, all’interno del Parco Regionale delle Marais du Cotentin et du Bessin in Normandia, tra le province del Calvados e della Manche, dove quasi 500 coppie si ritrovano annualmente per nidificare in un territorio ricco e protetto nonostante l’agricoltura estensiva presente all’esterno del parco. L’ennesima conferma che le aree protette sono efficaci per garantire la sopravvivenza delle specie minacciate.





Questa chiassosa comunità, che tra gennaio e aprile ritrova i nidi lasciati nell’anno precedente dopo una lunga migrazione, ha scelto di deporre le uova – che daranno alla luce pulcini e non bambini (per loro fortuna!) – non in luogo a caso: le rovine di un antico castello noto col nome di Château de la Rivière. Ed è qui che un centinaio di coppie si avvicendano a costruire nidi, trovare cibo, attendere come fedeli amanti la nascita dei propri piccoli e provvedere al loro sostentamento nei primi giorni. Si vedono, sulle torri e lungo le mura, impareggiabili scene di cicogne che inscenano parate nuziali, si salutano danzando, e comunicano tra loro con sinuosi movimenti dei lunghi colli e con schiocchi di becchi appuntiti. Mentre una ritorna al nido per portare il bottino di caccia ai pulcini, ricoperti da soffice piumino che li fa assomigliare più a pinguini che a cicogne, l’altra riparte avvicendandola e dispiegando le ali in un turbinio di voli e atterraggi. Sotto di loro, alcuni cavalli semiselvaggi corrono e giocano sollevando una polvere che rende ancor più affascinante quell’incredibile spettacolo.



Un luogo magico, per visitatori silenziosi e dal passo leggero, per fotografi rispettosi e ricercatori appassionati. Un luogo per tutti, insomma, come dovrebbe essere il mondo intero. A pochi chilometri a nord, poi, sulla costa del parco regionale, la Réserve naturelle nationale du domaine de Beauguillot ospita una nutrita popolazione di foche comuni (Phoca vitulina) e foche grigie (Halichoerus grypus) che rendendo questa zona dell’area protetta, che affaccia sul Canale della Manica, la ciliegina su una torta formata non solo da ali bianche e nere, da pinne e code, ma da tutta quella biodiversità che solo i siti sottratti all’indiscriminato sfruttamento umano sanno tutelare.

E se da più fronti in Italia si preme per un aumento delle nascite, dimenticando quanto la nostra specie abbia già sovrappopolato con oltre 60 milioni di abitanti un territorio completamente modificato dall’uomo, la speranza è che la cicogna torni a portare in una tale abbondanza i suoi piccoli, molto più di quelli umani, anche in Italia per riconquistare anche qui arroccate fortezze da cui resistere.
Testo e foto di Roberto Cazzolla Gatti,
Professore associato di Biologia della Conservazione,
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
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