Gioia del Colle: La città dove vola la guerra

Una città militarizzata. E’ questo quello che sembra Gioia del Colle, sofferente (più che ridente) cittadina federiciana della provincia di Bari, in questi giorni assediata dagli incessanti voli di addestramento degli aerei militari di base nell’aeroporto militare sito a meno di 3 km dal centro urbano. Pronti, forse, a lanciarsi sull’emergenza Libia con soldatini alla corte del re premier. Certamente non nuovi a raid come quelli nei Balcani. Ed agli incessanti boati, tanto forti da tapparsi le orecchie, ai nefasti scarichi nereggianti, così come al sempre citato e mai controllato pericolo radioattivo delle munizioni custodite nella base, i cittadini non fanno più caso. Tremendo, però, godere dei freschi meriggi di primavera al di sotto di un tornado che consuma centinaia di litri di carburante al minuto, per distribuirlo sottoforma di diossine e polveri sottilissime sui cieli della città, col costante timore di fare la fine di quegli afgani o iracheni o di tutti quei popoli oltre mediterraneo (tanto dinnanzi alla falce della morte la nazionalità non conta) che come i gioiesi avranno l’onore di osservarli, trucidati per quelle scandalose guerre che vergognosamente definiamo “missioni di pace”. Di pace, che il Mahatma se ne rivolta ancora, non c’è un bel nulla. Di missioni, invece, di conquista, di dominio, di controllo geopolitico, energetico-petrolifero ce n’è a bizzeffe. E non vengano i militari, gli aeronautici come li definiscono, falsi eroi dei tempi moderni, a dirci che di quei voli se ne ha necessità. Semmai la necessità è quella di gestire gli affari interni del Paese, troppo sudicio da sciorinare la magra, magrissima verità. E nemmeno di occupazione si tratta, se si considera che di quelle decine di ufficiali, sottufficiali, piloti, cuochi e famiglie al seguito la stragrande maggioranza non di difesa del Paese si interessa, ma del proprio matrimonio, del proprio portafoglio, del proprio gratuito e pagato anche da quei cittadini che aborriscono la guerra, posto letto. Che più che “posto” dovrebbe chiamarsi “appartamento”, con accessori inclusi. Ma in compenso “ai civili”, ignobili promotori di diritti umani che non prevedano il lancio delle bombe, ridicoli professanti della pace che non prevede la guerra, in regalo giunge un soave suono di motori potenti ed un fragrante olezzo di carburante bruciato. In più, per non sprofondare nella noia di un immeritato relax, il costante incubo della manovra errata del pilota inesperto, che già lo scorso anno ha rischiato di mietere una vittima sulle spiagge del tarantino e pochi anni addietro ha sfiorato di poco la strage nelle campagne di Santeramo in Colle (BA).

Ciò che lascia di stucco è come possa uno Stato che si definisce “socialmente evoluto” permettere che si continui a volare, spesso al di sotto delle altezze consentite ed a pochi metri dalle abitazioni, con inutili mezzi portatori di guerra in territori ove anche la risibile scusante della “difesa” frana sotto le più lapalissiane evidenze? Come si possa, ancora, accettare il rischio, consentire l’inquinamento acustico ed atmosferico e spendere migliaia di euro (se ne spendono circa 3000-4000 per un singolo volo di esercitazione) in tempi in cui la quiete, la salute e la pace dovrebbero figurare in cima alle agende non solo dei politici, ma ti tutti i cittadini onesti?

Se il dominio dei cieli è stato uno dei grandi sogni dell’umanità, mai Leonardo e posteri avrebbero potuto immaginare cosa se ne sarebbe fatto dei loro ipotetici brevetti. Uccelli della morte o pappagalli verdi carichi di fatali armamenti, terrore dal cielo da dove si è più vulnerabili. Immaginate l’incredibile sensazione di terrore che questi mostri volanti inducono in un bambino libico, afgano, iracheno o jugoslavo (e quanti non possono più neanche testimoniarlo), quando in virata con i loro rombi angoscianti si avvicinano alle abitazioni pronti a sganciare “contro pericolosi terroristi” la potente arma. Immaginate la vita segnata dal volo raso di triangoli grigi che ti puntano minacciosi e che se sbagliano il tiro “chiedono scusa”. Se già nei cieli di Gioia la quiete è quel breve lasso di tempo che intercorre tra un volo di addestramento e l’altro e se in molti potranno confermare (soprattutto tra coloro che vivono nelle abitazioni di campagna al limite sud del centro urbano) di avere almeno una volta provato la sensazione di finire colpiti da quegli acrobati della violenza, come possiamo ignorare quei volti segnati dalla fatica e dalla polvere che con occhi impauriti osservano, tra i riflessi cerulei di un cielo assediato, un aereo partito dalla base di Gioia che li punta, e loro non sanno perché? Come possiamo, se anche consideriamo la necessità di tutela il solo fine che giustifica quei voli in territorio nazionale, accettare di vivere sotto la costante minaccia di un errore di manovra, di scarichi satolli delle più cancerogene sostanze e di quegli insolenti rumori che privano l’uomo di quella che è rimasta la sua ultima libertà: guardare l’infinito che si perde nei cieli?

Non me ne vorranno, come in passato dai maleducati toni, i concittadini coinvolti nell’assurda danza degli zimbelli pronti al martirio per la sete di dominio sui popoli e per la falsa difesa sociale, non è per chi può con un solo pulsante segnare il confine tra la vita e la morte di un intero villaggio avere l’umiltà di comprendere quale sia il vero scopo di quei voli. Non è per chi gioca a fare la guerra e nel frattempo, con quei voli pagati da noi tutti, fa la spesa in mezza Italia per tornare alla base in meno di un’ora, comprendere quanto il silenzio sia la miglior difesa in un mondo di rumore. Non fa per voi, mi spiace, cari signori al servizio della guerra (militari li chiama lo Stato), comprendere che gli eroi non sono coloro che muoiono mentre difendono gli avamposti del dominio dei forti sui deboli, mentre seminano terrore tra civili indifesi e con divina arroganza stabiliscono chi ha diritto di restare su questa Terra, i veri eroi son quelli che perseguendo i propri più nobili ideali e sono disposti a dare la propria vita affinché ne venga salvata un’altra.

Quel che resta, comunque, è solo un breve accenno di vergogna ogni qual volta l’errore significa massacro. Quel che rattrista è la stucchevole confessione dei molti che partono “alla guerra” così guadagnano quel tanto che serve per sposarsi. Quello che fa schifo, invece, è che a Gioia come in altri luoghi militarizzati d’Occidente si continui ad ignorare tutto questo, pur avendo ogni giorno sulla testa dei mostri alati che spaccano…i timpani.

L’importante è che poi a Natale, tutti insieme facciamo una bella donazione da 50 Euro a Save the Children, affinché curi tutti quei bambini che la nostra indifferenza ha permesso di ferire. Spesso di ammazzare.

Pubblicato su La Rete della Vita di Settembre 2009