Quando un affare pubblico diventa cosa privata
In molti si lamentano del servizio fornito dalla Spes, ecco perché
“Non c’è interesse da parte dell’azienda di riciclare alluminio e acciaio” – risponde Chiara Mercurio, amministratrice della Spes, incontrata pochi giorni fa. “A Gioia si produce pochissimo materiale simile, non ci sarebbe ritorno per l’azienda”, ma per l’ambiente sì, rispondiamo. L’alluminio, prodotto derivato dall’estrazione di bauxite, un minerale incastonato nelle montagne, prima di arrivare bello forgiato come contenitore di pelati, lattine di bevande, scatolette di tonno, lascia dietro di se un’enorme impatto ambientale dovuto alla pratiche estrattive, ai composti chimici utilizzati per il trattamento, alla distruzione di promontori naturali, al duro lavoro umano ed alle esalazioni in miniera. Ma alla Spes questo non interessa. Chissà come mai, in altri comuni dell’interland, come Santeramo, simili materiali vengono raccolti e differenziati? Forse lì la gente mangia più sughi, beve più bibite, divora più tonno. Ma andiamo…chi vogliamo prendere in giro? Il problema principale è che un’azienda che possiede un capitale all’81% pubblico, non può permettersi di valutare interessi economici personali. L’interesse dev’essere quello di migliorare la qualità della vita della gente e limitare l’inquinamento da rifiuti. Eppure dalla Recuperi Pugliesi di Modugno, azienda dove la Spes conferisce i rifiuti, ci dicono che “noi riceviamo alluminio, acciaio ed altre ferraglie da molti comuni della provincia. Poi provvediamo all’indirizzamento verso le varie piattaforme di riciclaggio. In pratica, siamo in grado di riciclare quasi tutto”.
Con orgoglio, gli amministratori gioiesi, hanno ritirato il premio come miglior comune “riciclone” della provincia. La più alta percentuale di raccolta differenziata. Complimenti ai cittadini, dunque, non alla Spes, di certo, che scoraggia (vedi box a fianco) anche i più convinti sostenitori della differenziazione.
Evidenziamo, all’amministratrice Spes, il fatto che la gente è davvero demoralizzata e scoraggiata da piccole mancanze dell’azienda. I cassonetti sono perennemente sporchi dall’esterno e le maniglie completamente nere e viscide. “Ma no – dice la dott.ssa Mercurio – il fatto è che le maniglie nessuno dovrebbe toccarle, c’è anche il simbolo di divieto!. Ognuno dovrebbe arrivare al bidone, aprire la propria busta e conferire singolarmente i rifiuti selezionati a casa”. Certo, chiunque, dopo aver diviso con pazienza i rifiuti presso il proprio domicilio, arriva al bidone e impiega decine di minuti nell’impervio tentativo di infilare con forza le bottiglie, i bicchieri, i piatti, le buste di plastica, attraverso la microfessura munita di setole irte e sporche, che se per errore le tocchi devi ricorrere ai presidi sanitari. “Ma no – prosegue la Mercurio – vedete, voi gioiesi siete una cosa tremenda. I piatti ed i bicchieri non vanno inseriti nel bidone della plastica perché non si possono differenziare, quindi infilando solo le bottiglie nessuno tocca le setole, – e se si volessero differenziare i sacchetti in plastica? – allora si potrebbe poggiare il sacchetto e spingerlo giù con la bottiglia”. Incredibile, per la serie “le mille acrobazie per differenziare”. E poi, perché proprio piatti e bicchieri, che sono il maggior rifiuto prodotto dalle famiglie, non possono essere differenziati? Secondo la normativa vigente (le direttive quadro sui rifiuti, quella sugli imballaggi e il cosiddetto “decreto Ronchi” che ha recepito queste direttive nel 1997) è prevista una forma di “responsabilità condivisa” tra i produttori di imballaggi e le amministrazioni pubbliche o le aziende private di raccolta. L’11 febbraio 2004 è stata emanata una nuova direttiva europea sugli imballaggi che chiarisce che, anche i piatti e i bicchieri (di qualunque materiale) vanno considerati imballaggi e quindi i cittadini devono poter disporre di un sistema di raccolta differenziata realizzata con il contributo dei diversi consorzi. Quindi la motivazione della Spes, non regge.
E per i rifiuti di dimensioni maggiori alla fessura del cassonetto, come sì fa, chiediamo. “Per flaconi di detersivi ed altri materiali ingombranti, visto che i bidoni devono essere chiusi per legge – quale legge? Nessuno lo sa! – è possibile collocarli nelle vicinanze dell’apposito bidone”. Benissimo, sottolineiamo, così, com’è capitato spesso, arriva l’operatore ecologico e butta tutto nell’indifferenziato. In merito alla raccolta dell’organico, invece, come mai non c’è a Gioia? “Stiamo attendendo le decisioni dell’ATO (autorità di bacino) in merito prima di muoverci”. Eppure molti comuni hanno già avviato la raccolta dei residui alimentari…Concludiamo, la discussione, con un tour della vergogna presso i bidoni. Non ci sono adesivi che indicano che tipo di rifiuti possono o non possono essere differenziati – “provvederemo a sistemarli”. Ad oggi ancora nessun adesivo! I bidoni sono sporchi dall’esterno – “ma noi li laviamo solo dall’interno”, risponde – apriamo il bidone, e per conferma, non riusciamo a non trattenere il respiro tant’è il sudiciume. “Si sarà sporcato da poco”. Battuta esilarante. L’immondo giro si conclude con una riflessione: a volte, la gestione privata funziona meglio di quella pubblica. Non è questo il caso.
Pubblicato su Il Levante del 12/12/07