Hai stancato sindrome NIMBY, acronimo dell’inglese Not In My Back Yard “no nel mio giardino, vessillo d’oltranza per chi fa la morale, stucchevole pretesa per chi fa l’interesse. Il giardino, luogo sacro, quello di Voltaire s’intende, s’effige di rappresentare la speranza dell’esistenza e non la tracotante banalità di ogni contenzioso tra il Davide e Golia, il Pubblico e Privato. “Coltivalo”, ammoniva il mantra dei saggi lumi, illuminato, illuminista…ed allevierai d’incanto le sofferenze insite nella vita. E non fanne buco, fosso, tomba ove seppellire le tue speranze. Se t’affacci ora in Ucraina dell’Ovest, capisci perché nel tuo giardino non vorresti che transitino carrozze stracolme di verde liquame. T’accorgi d’incanto che schifezza s’avanza furiosa verso la tua casa. E scopri dopo giorni in cui il tuo caro, democratico, partecipato governo, che lo stesso bitume ha offerto in tazzina da thé al rivale pretendente al trono dello stato, un sorso memorabile, e forse l’invito era più ampio, ha negato il fatto come si nega l’esistenza del sole schermandolo con un ombrellone, che è fosforo radioattivo che tracima sul prato. E dov’è ora il giardino. Vallo a chiedere ai poveri ucraini perché i treni radioattivi proprio non ce li volevano nel proprio giardino.
Vallo a dire, adesso, ai giapponesi che il nucleare è la fonte energetica del futuro. Forse, visto che la più grande centrale nucleare al mondo è franata sotto i colpi della terra, riversando uranio in ogni acque, secondo Tokyo, il nucleare è la risorsa idrica del futuro. Ne bevi un po’ e risolvi i problemi di sovrappopolazione d’oriente.
Ma tanto assicurano, che se ciò che ficcano nel giardino è partecipato pubblicamente, se c’è l’occhio dello Stato, tutto fila. Chiedilo ora al governo di Kiev, c’è pericolo per la nube? Ma ché, solo un po’ di bruciore agli occhi.
Ecco allora che il giardino, secco come un arso divenire, segna il passo a quel mostro che è il dire e non il fare. Sembra quasi ci sian stati dei momenti in cui ognuno lo diceva: NIMBY, NIMBY, NIMBY…e che diavoleria è? Sarà una malattia. Ma se invece di pronunciarle, le parole le si adoperasse forse migliaia di persone adesso ci sarebbero, riconsegnate alla storia nonostante la voglia di cancellarle. Ora dunque, elogiamo la nascita di una nuova sindrome. Me ne faccio promotore, portavoce manifesto. E’ una rara malattia, cronica ed incurabile. Porta sintomi nefasti. Vede il bello universale, va a scuola nelle foreste, sente voci di animali. Non conosce civiltà, il civile non ha senso, è soltanto un compromesso per giustificare la follia. Nasce oggi un nuovo pensiero, trova sfogo nell’incanto, mangia pane e ammirazione, nel giardino universale. Non lo voglio a casa mia, ma nemmeno a casa tua ed allora come fare, troviamo un modo per farne a meno. Aderire non costa nulla, serve solo lo stupore, di vedere in una foglia il disegno di un artista. Ciò che è brutto non lo decide un essere a caso con il pollice opponibile, lo decide il mondo intero, l’universo, il tutto. Qui si parla di una nuova filosofia, di chi è stufo di vedere l’uomo brutto e l’uomo bello. Siamo parte della natura e non possiamo che esser belli. Ma ci imbruttiamo indegnamente quando vogliamo starne fuori. Oggi nasce il N.I.M.B.U., sta per “Not In My Beautiful Universe”. Perché se è brutto a casa mia lo sarà anche per la tua ed allora convinciamo chi per noi e chiamato a decidere, e strapagato, a cambiare direzione, scegliere il bello universale. Quando pensi che il bello è relativo, commetti un errore. E non perché non lo sia, ma perché ne esiste uno universale. Fonda il suo paradigma sul principio d’armonia. Vivi e lascia vivere, non vuol dire fatti gli affari tuoi, ma significa permetti a tutti l’esistenza. Se prevale la voracità stai pur certo che sta per nascere un frutto brutto. L’uomo è l’unico animale grasso. Trovate un leone obeso o una lucertola in sovrappeso. Loro esistono per vivere. Noi viviamo per esistere. Loro mangiano per vivere. Noi viviamo per mangiare. Sostenere il NIMBU è facile e possono farlo tutti. Non opponendosi a ciò che è brutto solo perché lo fai vicino casa, ma ostruendo l’obbrobrioso perché è ingordo e non sa esistere. Basta essere più semplici, viver dentro l’universo. Esser certi che il nostro posto non è unico, né speciale. E’ un posto e di certo non va disprezzato, ma dobbiamo permettergli di esistere degnamente, smettendo di creare mostri, per interessi di pochi e distruzione per tutti.
Pubblicato su Controcorrente del 2005