L’ARPA assicura: “Nessun pericolo per la popolazione, ma così l’impianto non va”
Forse è la più inaspettata tra le notizie, perché di tutto si poteva immaginare fuoriuscisse dal DISMO (Dissociatore Molecolare di rifiuti) in via di sperimentazione presso l’Ansaldo Caldaie, ma la diossina proprio no. Ci si era interrogati sul pericolo delle nanopolveri che la combustione a temperature elevatissime (circa 1400° C) avrebbe potuto produrre; c’erano state le analisi del dott. Montanari di cui l’Itea non ha ancora fornito i risultati. Si era portato all’attenzione pubblica il pericolo ideologico dello sviluppo di tecnologie per la combustione dei rifiuti, che ci avrebbero tolto il problema inceneritori, ma ne avrebbero creati di certo altri (produzione di rifiuti non biodegradabili, sviluppo di nuovi composti tossici, smaltimento delle scorie, aumento dei gas serra). Ci si era addirittura posti il quesito di che farne delle scorie vetrose che fuoriescono come residuo solido dal macchinario dopo la “dissociazione del rifiuto”. L’idea dell’azienda di utilizzarle come componente degli asfalti stradali, aveva fatto sorridere i più, consapevoli dell’enorme rischio che la dispersione sottoforma di polvere, dovuta all’erosione del manto stradale, dei contaminanti contenuti nelle scaglie vetrose, avrebbe comportato per l’ambiente e la salute umana. Si era infine addotta la motivazione, forse la più seria e fondata, che bruciare, dissociare o volatilizzare i rifiuti era la strada sbagliata. Non solo si sprecano risorse primarie, come il petrolio, i minerali, gli oli, ma li si converte in due forme differenti, gassose e solide, raddoppiando i problemi di smaltimento ed aumentando la quota di anidride carbonica che finisce in atmosfera e contribuisce all’effetto serra.
Ma che dal DISMO potesse provenire Diossina, nessuno ci avrebbe mai creduto. Proprio perché, a detta degli ingegneri ITEA, il “DISMO non brucia, dissocia!” poiché utilizza ossigeno liquido ed ossida completamente le sostanze, convertendole in forme semplici gassose. Gas che poi vengono abbattuti (in parte, è elevata la quota di CO2, ad esempio) e vetrificati.
Le diossine, potenti cancerogeni e mutageni chimici che agiscono a livello cellulare e germinale, sono composti eterociclici aromatici a 4 atomi di carbonio, che vengono prodotte quando il materiale organico è bruciato in presenza di cloro, sia esso cloruro inorganico, come il comune sale da cucina, sia presente in composti organici clorurati. E’ proprio qui sta il problema. Se nel DISMO non avviene combustione, come può essersi creata diossina?
Cos’è successo, dunque, durante l’ultimo campionamento effettuato pochi giorni fa dall’Arpa, presso l’impianto?
<<Può essere che all’interno degli oli utilizzati per effettuare la prova sperimentale di dissociazione ci fossero residui di cloro e che la temperatura non fosse ben controllata>> ci conferma un tecnico dell’ARPA. <<Capita, ad esempio che utilizzando un fango di conceria, ci possano essere o meno residui contenenti cloro ed allora si formano le diossine. C’è da dire che, trattandosi di un macchinario piccolo, non c’è pericolo per la popolazione e proprio nei prossimi giorni effettueremo un nuovo campionamento per verificare il dato. Naturalmente, se quest’impianto continuerà ad emettere diossina l’azienda non verrà mai autorizzata al commercio>>.
Il problema sanitario, dunque, è da escludere. Ciò che preoccupa è, invece, il modello di sviluppo delle nuove tecnologie cosiddette “eco-compatibili”, che proprio ambientaliste non sono e che, inspiegabilmente, trovano a Gioia terreno fertile su cui prosperare. Invece di andare verso lo studio di sistemi che permettano il recupero delle materie prime, il blocco della produzione di sostanze tossiche e l’incentivo alla riduzione di gas serra prodotti dal comparto industriale, si sperimentano macchinari costosissimi che convertono prodotti ricavati con grande dispendio energetico, in rifiuti irrecuperabili (la frazione di energia recuperata è 1/10 rispetto a quella utilizzata per alimentare a 1400° C il dissociatore) che si trasformano in gas che modificano l’atmosfera (ed a volte, come in questo caso, in diossine ed altri composti pericolosi per la salute) e scorie da smaltire comunque in discarica come rifiuti speciali.
L’interesse nella ricerca di macchinari che distruggono i rifiuti è sempre destinato a fallire. Perché in natura nulla viene distrutto, tutto viene recuperato per mezzo di retroazioni (feedback) che tendono a preservare l’energia e non a sperperarla. La combustione, la dissociazione o la volatilizzazione dei rifiuti si potrebbe paragonare a ciò che nell’organismo vivente viene chiamata “evoluzione clonale”, e cioè lo sviluppo di tumori. Infatti questo processo è molto simile al non riutilizzo delle sostanze prodotte effettuato negli impianti di trattamento di rifiuti (vecchi e nuovi) e può essere paragonato all’ingordigia energetica e proliferativa delle cellule cancerose, che invece di riciclare le sostanze ne richiedono sempre più all’organismo sino a portarlo alla morte.
Lo sviluppo del tumore, dunque, come lo sviluppo delle tecnologie che non riciclano. Non ci sarebbe paragone migliore.
Pubblicato su Il Levante del 10/12/2007