Ti è mai capitato di perderti oltre i confini della fantasia, al di là dell’orizzonte, dove il fruscio d’un battito d’ali di farfalla riecheggia soave nell’etere della pace, percorrendo strade sterrate lungo le quali si rincorrono lecci odorosi e lentischi pungenti? Spero proprio che con la fantasia tu ci sia arrivato, perché se abiti a Gioia del Colle, scenari simili puoi solo immaginarli.
L’invasione grigia. E’ così che definirei il processo che sta avvenendo nella nostra già martoriata cittadina. Non bastavano disboscamenti illegittimi, cave abusive, villaggi in pieno parco, antenne a tutto spiano e inceneritori che sputano diossine, ora ci si mettono anche l’edilizia aggressiva e le colate di cemento, a fomentare il braciere dell’inosservabile.
Facile sollevare lo sguardo da qualsiasi punto del paese e accorgersi che minacciose gru osservano la nostra quotidianità. Trovare un misero squarcio di cielo, libero da questa ferraglia, è diventato complicato. Siamo tutti d’accordo che nel nome del progresso l’espansione demografica sia auspicata e richiesta. Vogliamo, però, fermarci a riflettere e renderci conto che ormai, per poter ammirare un gratificante paesaggio di campagna è necessario macinare decine di chilometri! Stiamo cementificando il mondo, abbattendo quel poco di naturale che ancora è rimasto. E non veniteci a dire che si tratta di costruzioni e infrastrutture utili. Forse saranno utili al miliardario che ha deciso di investire nel “mattone”. Forse saranno utili all’industriale senza scrupoli che annerisce la città con il fumo, per un “buio” guadagno che ha negli occhi e nel cuore, oltre che in banca. Ma, a chi come noi, placa il suo continuo trascendere dal perpetuo oscillare fra noia e dolore, con l’incantevole pace del mondo così come ci è stato consegnato, con le sue specie autoctone, i suoi arbusti forti ed i suoi fiori colorati, tutto questo progresso non piace.
Ci stiamo illudendo, nella nostra presunzione, di poter ricreare in vitro quegli ambienti che stiamo distruggendo, mettendo su giardini e parchi giochi, zoo e serre ed estirpando per sempre la biodiversità del mondo. Così come ci crogioliamo nell’idea di poter ripopolare le specie in via d’estinzione da noi stessi minacciate, con l’inseminazione artificiale, senza però accorgerci che le stiamo rendendo sessualmente impotenti, abbiamo intrapreso una politica espansionistica che ci condurrà alla completa desertificazione della natura. Stiamo prosciugando la bellezza delle nostre campagne, le antiche tradizioni, i mestieri di una volta, per unificarle in un modello unico, standardizzato da una bramosità indiscriminata.
Ce ne accorgeremo, come al solito, quando sarà gia troppo tardi per tornare indietro. Quando una bella mattina d’estate, alzando gli occhi al cielo per osservare il popolo migratore, stupefatti, capiremo che l’unica cosa che ricordi un uccello è il nome di un elevatore meccanico industriale e che delle gru dalla livrea rosa, l’unica immagine rimasta è racchiusa in un documentario.
Pubblicato su La Piazza di Novembre/Dicembre 2003