Il modello Spittelau, i miracoli dell’Isotherm e le illusioni della Raggi

Come la tecnologica gestione dei rifiuti diventa una costante promessa non mantenuta

C’è una narrativa ignorante, interessata e superficiale di moda in questo periodo che ricalca, e non è un caso, il periodo d’oro degli inceneritori come soluzione sostenibile per gestire i rifiuti prodotti dalla nostra civiltà dello spreco. Col tempo, però, le contraddizioni degli inceneritori sono venute a galla come escrementi in un mare d’indifferenza ed è bastato cambiare un po’ il vocabolario per trasformarli negli stessi, pericolosi, “termovalorizzatori”.

Da qualche parte, in Europa, hanno persino provato a fare di meglio, costruendoci sopra piste da sci (modello danese) o invitando “architetti ambientalisti” a ridisegnare inceneritori in pieno centro città per trasformarli in “termovalorizzatori verdi” (modello Spittelau).

Proprio qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, un lettore scriveva: “Mi riferisco alla decisione, molto coraggiosa, del sindaco di Roma di dotare l’urbe di un moderno termovalorizzatore, sull’esempio di molte capitali e città europee e subito si sono levati i cori di quelli del No, a prescindere. Da tecnico del settore e con altri colleghi, parecchi anni fa, ho avuto modo di visitare il termovalorizzatore di Vienna (località Spittelau) città molto rispettosa dell’ambiente e storicamente governata dal partito socialdemocratico (PSÖ) e per dieci anni da una giunta comprendente anche i Verdi (Die Grünen). L’impianto viennese, sito nel centro cittadino, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, fu ristrutturato su progetto del celebre architetto austriaco F. Undertwasser, un ambientalista convinto, ma intelligente. Egli si decise di collaborare con il Comune di Vienna quando gli fu spiegato che dai rifiuti solidi urbani (RSU) si poteva produrre energia elettrica e termica da utilizzare per illuminare e per riscaldare le abitazioni dei cittadini viennesi”.

Sarà anche un tecnico del settore questo lettore, ma non sembra essere riuscito ad andare oltre la superficie delle cose. Sì, perché ho vissuto per molto tempo intorno all’inceneritore di Spittelau ed anche a me è sembrato quasi un sogno l’idea che nella bellissima capitale austriaca, dove si vive con un tenore davvero molto alto, si fosse, finalmente, riusciti a conciliare tecnologia e ambiente. E, invece, al di là di decorazioni artistiche, ciminiere che sembrano uscite da un film Disney e visite guidate per turisti, c’è una verità molto scomoda che nessuno sembra aver voglia di menzionare: l’inceneritore di Spittelau è la ragione per cui la raccolta differenziata a Vienna e dintorni è davvero “light”. Si stenta a immaginarlo, lo so. Eppure, viverci per credere. Non esiste la raccolta porta a porta, i bidoni sono stradali e sigillati, con minuscole aperture per solo alcune tipologie di rifiuti. Fondamentalmente si raccoglie il vetro (multicolore sì, ma non è la raccolta del vetro in colori diversi la reale priorità/problematica ambientale), della plastica solo avviate a differenziazione solo bottiglie e fustini, della carta solo giornali e cartoni e l’organico va con l’indifferenziato (cioè, non lo si differenzia). Tutto il resto, ovvero qualunque altro oggetto in carta o plastica che possa trovarsi in una città (ed è facile comprendere che ve ne siano dei più svariati), non viene riciclato. Così, a Spittelau, può finire tutto il materiale organico che brucia abbastanza bene, ma soprattutto quella plastica e carta che non venendo adeguatamente differenziate vanno a fornire il potere calorifico necessario al funzionamento di un inceneritore. Senza questo input di rifiuti indifferenziati, un moderno termovalorizzatore sarebbe inefficiente e non avrebbe senso di esistere, come dimostra chiaramente il caso dell’impianto di Copenaghen che, dopo esser stato ricoperto da una futuristica pista da sci, ha già rischiato molte volte la chiusura (https://zerowasteeurope.eu/2019/11/copenhagen-incineration-plant/) perché, con la raccolta differenziata spinta, non c’è abbastanza combustibile per farlo funzionare a pieno regime.

Ecco che, dunque, i termovalorizzatori diventano la prima ragione per scoraggiare la differenziazione efficiente dei rifiuti solidi urbani!

Aspetto che a Roma (come in tante altre parti d’Italia e del mondo) stentano a comprendere. Qualche giorno fa, infatti, compariva sul profilo social dell’ex sindaco Virginia Raggi (https://www.facebook.com/virginia.raggi.m5sroma) il seguente post: “Una qualità che caratterizza noi italiani è la capacità di innovare, andare oltre i limiti e creare. Un ostacolo può essere trasformato in una opportunità. È quello che possiamo fare con gli impianti per il trattamento dei rifiuti del Lazio! In queste settimane si sta discutendo sulla possibilità di costruire un inceneritore per smaltire la spazzatura di Roma e di grandissima parte della Regione Lazio. Si tratta di una scelta che viene rappresentata come obbligata ma non è così: oggi abbiamo la possibilità di scegliere tra le tecnologie più avanzate del mondo per realizzare un impianto che non inquini l’aria, l’acqua e i terreni. Una di queste tecnologie l’abbiamo proprio in Italia: in Puglia c’è un impianto che tratta gli scarti di lavorazione dei rifiuti e li riduce come e molto meglio di un inceneritore, senza alcuna emissione di CO2 o di particelle inquinanti. Domani andremo in visita a questo impianto a Gioia del Colle per vedere come funziona e comprendere se e come realizzare un impianto simile nel Lazio. La ricerca scientifica va appoggiata e non a parole. Io mi rifiuto di accettare che nel Lazio vogliano realizzare un inceneritore, una tecnologia vecchia di 20 anni, proprio mentre in Europa stanno abbandonando questa strada. Significa andare contro il progresso scientifico”.

Belle, bellissime parole. Peccato che siano parole vaghe, retoriche, fumose. Così come le emissioni di anidride carbonica che, invece, dall’impianto (denominato prima Dismo, poi Isotherm) di Gioia del Colle escono eccome (e in un periodo di limitazione delle emissioni di gas climalteranati ci manca solo iniziare a produrli dai rifiuti), nonostante chi sponsorizza l’impianto vorrebbe convogliare questa CO2 “a gonfiare palloncini d’illusioni”. D’altronde, che questo impianto non produca particelle inquinanti lo dice solo la Raggi e l’azienda che lo vende visto che non esistono risultati sui monitoraggi pubblici (e pubblicati) riguardanti le emissioni, come quelle di polveri ultrafini emesse durante la sperimentazione (e, anzi, l’unica rilevazione, realizzata da Enea in fase sperimentale, ha documentato elevate concentrazioni di PM<2.5).

Tant’è che questo impianto ha una storia controversa, ricca di trasferimenti in fretta e furia (dall’Emilia alla Puglia), finanziamenti pubblici regionali emersi dal cilindro (nonostante i pareri negativi di ASL Bari e ARPA Puglia), sequestri e dissequestri. Nel 2019, il GIP del Tribunale di Bari, Giovanni Anglana, aveva disposto il sequestro preventivo dell’Impianto «Isotherm Pwr» di Gioia del Colle parlando di «quadro di cogente pericolosità per la salute pubblica e la collettività che rende indifferibile l’adozione di una cautela reale che impedisca la prosecuzione dell’attività dell’impianto e il versamento in atmosfera di emissioni gassose» (https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/taranto/1113730/impianto-di-energia-pulita-smaltisce-rifiuti-pericolosi-sequestro-a-gioia-del-colle.html). L’anno successivo l’impianto veniva dissequestrato. Tutto nella norma, quindi? Beh, non proprio. Perché il dissequestro non avveniva perché “il quadro di cogente pericolosità per la salute pubblica” era venuto meno o non era mai stato presente (si sarebbe dovuto parlare di una grossolana svista del GIP), ma solo perché alcuni periti (non chimici o biologi, solo “periti”) del tribunale avevano suggerito che l’impianto di Itea, per la sua natura sperimentale: “Non necessita di autorizzazione alle emissioni in atmosfera in quanto può beneficiare dell’esclusione di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 267 del TUA”. Quindi, non essendoci una legge specifica per gli impianti sperimentali, né in Italia né in Europa, questi nuovi inceneritori pilota possono emettere quello che vogliono. Ma ciò non vuol assolutamente dire che non emettono nulla.

Infatti, nonostante il 21 settembre 2020 il Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale – Nucleo Operativo Ecologico di Bari rimuoveva i sigilli e procedeva al contestuale dissequestro con prescrizioni dell’impianto e la Regione Puglia prorogava per ulteriori 2 anni l’autorizzazione rilasciata in favore della società ITEA all’esercizio dell’impianto di ricerca e sperimentazione per il trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi (finanziandone come nell’ultimo decennio le attività con soldi pubblici), nemmeno al termine dell’ennesimo biennio sperimentale, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (con sentenza  N. 01867/2021 REG.PROV.COLL. N. 00422/2018 REG.RIC. dei magistrati Alfredo Giuseppe Allegretta, Donatella Testini e Lorenzo Ieva) accoglieva il ricorso proprio contro l’ITEA SpA che aveva tentato di “piazzare” il Newo, un modello commerciale dell’impianto sperimentale di Gioia del Colle, nella città di Modugno alle porte di Bari. La sentenza del TAR non lascia molto spazio ai dubbi e chiosa “L’impianto Newo è stato autorizzato per una capacità di ricezione di circa 117.000 tonnellate/anno, cioè circa 40.000 tonnellate in più rispetto all’intero fabbisogno regionale, quando, di contro, una delle prescrizioni imposte nell’AIA 7/2018 dal Comitato VIA (parere del 3.10.2017) è che “la localizzazione dell’impianto è da considerarsi favorevole allorquando i rifiuti alimentati al trattamento siano prodotti nell’ambito di una gestione territoriale locale e primariamente nella zona urbana di Bari, consentendo il controllo dell’origine e della qualità dei rifiuti e l’ottimizzazione dei flussi di rifiuto attraverso l’integrazione dei cicli di trattamento”.

Quindi, a Modugno come a Roma, a cosa servono impianti sovradimensionato persino al fabbisogno regionale?

Per di più, nonostante le illusioni della Raggi di trovarsi dinanzi a “un impianto che tratta gli scarti di lavorazione dei rifiuti e li riduce come e molto meglio di un inceneritore, senza alcuna emissione di CO2 o di particelle inquinanti”, il TAR Puglia rilevava nella stessa recente sentenza che “all’impianto Newo-Itea non risulta, ad oggi, ancora conclusa, né sono noti gli esiti oggettivi cui la sperimentazione stessa è giunta. La stessa Newo ha dichiarato esplicitamente che “il processo isotherm risulta l’unico caso al mondo di applicazione industriale della ossidocombustione flameless in pressione” (pag. 22 PV. 1- Relazione descrittiva generale). Appare evidente, quindi, che l’impianto della Newo ha natura del tutto sperimentale non potendosi certamente considerare come realizzabile su scala impiantistico-industriale un processo tecnologico non ancora compiutamente testato, soprattutto per quanto riguarda il suo ipotizzabile impatto ambientale e sanitario. Su tali presupposti, la Regione Puglia non poteva rilasciare alla Newo una AIA avente efficacia per dieci anni e non poteva autorizzare il trattamento di rifiuti per un totale di circa 117.000T/anno, in manifesta assenza di una conclusione precisa e verificabile della sperimentazione sulla qualità dei processi tecnologici ad utilizzarsi nell’impianto in questione”.

Una delle preoccupazioni principali di questa “miracolosa tecnologia di eliminazione dei rifiuti” (che dimentica che in natura “nulla si distrugge e tutto si trasforma”) è posta, oltre che dalle emissioni di particelle ultrafini prodotte in enormi quantità dalle combustioni ad altissime temperature, anche dal residuo finale del processo che l’azienda ha romanticamente denominato “perla vetrosa”. Così anche qui, il lessico fa la sua parte. Non più inceneritori, ma termovalorizzatori. Anzi no, basta termovalorizzatori, meglio gli ossicombustori che non producono scarti, ma perle! Sembra una fiaba. Invece, ancora una volta, la giustizia (confermando anche le perplessità scientifiche), per voce del TAR Puglia, sentenzia: “Nel caso di specie, per le c.d. “perle vetrose”, non vi sono riferimenti normativi che specifichino le caratteristiche tecniche per la commercializzazione, né è dato capire se detto materiale potrà mai avere un mercato, apparendo per vero anomalo che, ad esempio in edilizia, si possa lecitamente preferire tale composto vetrificato di qualità e rischi noti solo in parte a soluzioni tecniche più tradizionali, di per sé salubri, sperimentate e sicure. Inoltre, il semplice test di cessione effettuato secondo le prescrizioni del D.M. 5.2.1998 non è sufficiente per affermare, così come sostenuto nell’AIA impugnata, che il “materiale vetrificato rappresenti a tutti gli effetti un materiale inerte”, in quanto la composizione delle perle vetrose in fase di operatività dell’impianto sarà inevitabilmente variabile in funzione della variabile composizione dei rifiuti indifferenziati trattati […] Quanto in precedenza evidenziato e la particolare composizione chimica delle c.d. perle vetrose, che derivano dalla combustione in sequenza casuale di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi – per la produzione che, secondo quanto previsto in progetto, ammonterebbe a 20.000 tonnellate ad anno che la Newo intende commercializzare – comporta l’applicabilità delle norme REACH e degli obblighi ad esse connessi. Obblighi che non risultano essere stati adempiuti dalla Newo e di cui l’Amministrazione regionale non risulta si sia fatta carico”.

Ma no – avranno tranquillizzato Raggi & co. – non preoccupatevi, noi queste magnifiche perle vetrose le vorremmo inserire negli asfalti stradali, nei muri delle abitazioni, nei ponti e poi, sino a quando si sgretoleranno rilasciando tutto il concentrato di sostanze pericolosissime contenute nel loro cuore nero perlato, saranno problemi di altre generazioni e di altre amministrazioni…

Eppure la giustizia è chiara (TAR Puglia N. 01867/2021): “Alla luce dei dati di fatto evidenziati e delle coordinate ermeneutiche sopra trascritte, la violazione del principio di precauzione in materia ambientale nella fattispecie in esame non potrebbe essere più palese, con i conseguenti vulnera di illegittimità che ne derivano. Da quanto sin qui esposto consegue linearmente l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, la declaratoria di annullamento della determinazione della Regione Puglia – Dirigente Servizio autorizzazioni ambientali – n. 7 del 25.01.2018 e degli atti ad essa conseguenziali. Per effetto del detto annullamento si caduca ipso facto l’attività provvedimentale successiva ed, in particolare, la determina della Regione Puglia – Servizio AIA e RIR – n. 124 del 31.03.2021 di non sottoposizione a VIA delle modifiche progettuali della proposta Newo S.p.A.”.

Nonostante tutto questo, Itea, dopo avermi denunciato, tramite il suo corposo gruppo di avvocati, per diffamazione ed essersi vista rispondere dal P.M., con motivata richiesta di archiviazione, che non può esservi diffamazione quando si esprime un parere esperto trattandosi del “diritto di critica su tema di rilevanza sociale esercitato da soggetto dotato di competenza professionale in materia”, hanno tentato altre strade e mi hanno prima inviato una lettera di diffida invitandomi a non scrivere, con “tecniche persuasive e manipolative”, nessun’altra “falsa informazione” sulla loro azienda e, poi, con tono ancor più minatorio, mi hanno recentemente citato al Tribunale Civile di Bari, insieme ad alcuni giornalisti di testate locali, per un fantascientifico risarcimento del danno alla loro immagine pari a una più che arbitraria stima di €100.000.

Sembra che, tra le tante ragioni di nervosismo, giudiziarie ed evidentemente monetarie, si siano molto risentiti in particolare per il contenuto di un articolo che ho scritto, che non contiene nulla di falso, anzi è interamente basato su fonti e affermazioni documentate e verificabili, ma che evidenziava incongruenze e rischi di questa tecnologia: http://www.gioianet.it/attualita/18902-le-sperimentazioni-sui-rifiuti-pericolosi-vanno-fermate-le-ragioni.html

Devo dedurre che abbiano accusato il colpo e che gli abbia dato molo fastidio questo clamore generale, al punto di suggerirmi di “chiudere la bocca” in un modo o nell’altro?

Evidentemente le inchieste documentate e approfondite colpiscono nel segno e queste denunce e citazioni in tribunale mostrano, più di ogni altra cosa, quanto i Golia dell’industria temano la critica dei Davide dell’opinione pubblica, della scienza e di giustizia, che non va sempre a favore dei più grossi (dura lex, sed lex).

È proprio vero che colpisce più la penna della spada. Ma, come cantava Guccini, io gli rispondo: “Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto, infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perché con questa spada vi uccido quando voglio”.

Roberto Cazzolla Gatti

Biologo ambientale ed evolutivo

Professore associato di Biologia della Conservazione

Università di Bologna

*pubblicato su Villaggio Globale – Trimestrale di Ecologia Anno XXV – N. 98 – Giugno 2022

Un pensiero su “Il modello Spittelau, i miracoli dell’Isotherm e le illusioni della Raggi

  1. Non posso credere a quanto ho letto in questo articolo.Io , come cittadina , mi sento in serio pericolo se persone cosi in alto minacciano chi sta portando evidenza della perivolosiità di certe scelte.Mi sembra di vivere un film dell’assurdo, soprattutto quando tutto intorno a me rimane tragicamente fermo.Dobbiamo difenderci da questi “golia dell’industria “e porci al tuo fianco e di chiunque usi le sue competenze per il bene della vita del singolo cittadino.Sono pronta a sottoscrive tutto ciò possa servire per sostenere le tue teorie,caro dott.Cazzolla.Grazie.

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