Perché la dipendenza dai combustibili fossili ci rende inetti dinanzi alle guerre e alla devastazione del pianeta
“Che spavento, come il vento. Questa terra sparirà… Con le mani, con le mani, con le mani, ciao ciao…”. Non riesco a togliermi dalla testa questa bellissima canzone de La Rappresentante di Lista e non solo perché si è insinuata nei più profondi angoli del cervello dopo Sanremo e continua a ronzare ad ogni raro silenzio, ma anche in ogni occasione di profonda riflessione che questo assurdo mondo moderno ci offre (e sono infinite). Questa sorta di cantico pop dell’apocalisse ci ricorda con umorismo, o forse sarebbe meglio dire sarcasmo, che nelle frivolezze della nostra quotidianità ci stiamo perdendo l’evento più importante della nostra esistenza: la fine del mondo.
Non è un caso che poche settimane prima dell’uscita della canzone veniva proiettato in sparute sale (forse perché scomodo a… tutti, e per fortuna c’è Netflix) il meraviglioso film “Don’t look up” di Adam McKay. Una commedia tragicomica del tempo presente e di quello che sarà una volta che, usciti per un istante dagli schermi dei telefoni intrisi di tweet da scorrere superficialmente con un colpo di pollice, ci accorgeremo che un’enorme masso cosmico si sta dirigendo sulla nostra esistenza, nonostante i politici cerchino di negarne la tracotante evidenza, gli scienziati al soldo delle multinazionali ne mascherino i connotati e i media filogovernativi tentino di sdrammatizzarne la gravità. E lo sta facendo a una velocità oramai troppo elevata per poter fare qualcosa.

Ecco che la musica e il cinema ci raccontano meglio, e con più immediatezza, di tanti speciali giornalistici la realtà che non vogliamo vedere. La gravità dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento globale e della perdita di biodiversità è stata annichilita da un pericolo ancor più invasivo nella quotidianità della nostra specie. Un microscopico virus, figlio legittimo di quelle stesse problematiche ambientali che abbiamo posto, da sempre, in secondo piano, ha bloccato l’umanità per oltre due anni, ne ha limitato movimenti, attività e, persino, pensieri. Chi l’avrebbe mai detto che una pandemia ci avrebbe permesso di riconsiderare il nostro ruolo, possente e infimo allo stesso tempo, su questo pianeta. Che ci avrebbe, per un attimo e nulla più, rammentato che non siamo soli sulla Terra e che la nostra salute dipende da quella di tutte le altre specie ed ecosistemi in viaggio con noi intorno al sole. Ci spostiamo ogni giorno, se ci pensate, in una rotazione costante che avviluppa la nostra stella in spire, più lunghe o più corte, in base alle stagioni. Ma non ce ne accorgiamo, tanto diamo per scontato di essere passeggeri di una balzaniana astronave mai ferma. Poi arriva un microorganismo, senza vita autonoma, originatosi in mercati orientali di vita, anzi di morte, ed ecco che si riaffaccia, fulmineo e flebile come un bagliore di coscienza, quella sensazione di fragilità che non ci fa addormentare. Io, come uomo gaberiano, io come individuo posso essere infettato e ucciso da qualcosa che è il frutto acerbo della devastazione di terre e di mari messa in atto da un sapiens che non ha, evidentemente, capito granché.
Pensavamo che fosse abbastanza, insieme a tornado sempre più frequenti, ghiacciai in scioglimento, estati torride e mezza stagioni scomparse. Un minuscolo killer sembrava proprio fosse la goccia che fa traboccare il vaso di Pandora delle sciagure. Pian piano, però, dimenticando forse troppo in fretta coloro che il virus ha sacrificato, abbiamo iniziato a vedere una luce in fondo al tunnel. Uno spiraglio il cui merito è stato frettolosamente associato allo sforzo benefico, in camera caritatis, delle case farmaceutiche nello sviluppare i vaccini, uniche e sole armi ritenute efficaci in questa lotta contro noi stessi e i nostri abusi, dimenticando che non è interesse dei virus uccidere i loro ospiti nel lungo termine. Ignorando, volutamente, che un’arma (medica) non è una soluzione (biologica).

Ad ogni modo, proprio quando la tensione pandemica si stava allentando, un macro-organismo di quelli infettanti tanto quanto quelli virali si è abbattuto sull’umanità e la Terra che la ospita. La mole di questo patogeno, non meno mortale, è tale che scenari da guerra fredda con spruzzate di nucleare, bombardamenti e invasioni su più fronti che l’hanno riscaldata sino a farla riclassificare come guerra caldissima, sono riaffiorati da una matrioska che aspettava solo l’occasione giusta per aprirsi e rivelare le sue repliche frattali intestine. Non fraintendetemi, ho vissuto e lavorato in Russia così tanti anni (sposandone, letteralmente, tanto del suo fascino) che non potrei mai generalizzare a un intero paese le colpe dei suoi padri, come spesso accade nei talk show con troppa, colpevole leggerezza. Colpe che poi ricadono rovinosamente sui figli, questi sì illegittimi, della follia impersonificata che, solo con un eccesso di buonismo, può essere giustificabile con un’imprecisata minaccia dell’alleanza trans-atlantica da dopoguerra. Perciò, neanche il tempo di prender fiato, recuperare dalla paura del vigliacco intruso dei nostri polmoni (no, non parlo dell’inquinamento, di quello non importa a molti, per quante più vittime mieta ogni anno, mi riferisco al “Coviddi” che c’è e non c’è a seconda che torni comodo), che ecco comparire lo zar degli zar. Nella sua sala dei bottoni ma piena di telefoni datati che nemmeno alla SIP, col suo fisico aggrinzito ma mostrato a ogni occasione su un cavallo o inseguendo un orso, con la sua espressione da severo agente del KGB ma con grossi problemi psichiatrici, con la sua sicurezza da statista ma l’espressione contratta del volto traditrice d’insicurezza, fa partire un’invasione (non si può dire senza precedenti) di un paese democratico europeo. Perché? “Perché è cattivo”. Perché è cattivo? “Perché ha le armi”. Ma lei lo attacca con le armi? “Ah vero, allora perché è nazista”. Ma lei rappresenta la destra più estrema e conservatrice? “Ma vogliamo riportare in vita la grande Unione Sovietica”. Ma l’URSS non era il sogno comunista? “Sarà, sempre meglio della NATO è”.
Così, “mentre leggo uno stupido giornale, in città è scoppiata la guerra mondiale”. Il Covid, il clima e il panda vanno a farsi benedire. Scappano gli ucraini, fuggono persino dalla capitale Kiev. E chi se l’aspettava di vedersi da un giorno all’altro i Tupolev in volo radente e i carri dell’armata rossa avvolgere, sconvolgere, un intera nazione nel 2022. Pensavamo di averne avuto abbastanza, credevamo di aver sofferto a sufficienza, speravamo nell’arrivo della (prima vera) primavera. E, invece, no. Persone innocenti costrette a lasciare le loro case, giovani obbligati a combattere contro i loro stessi cugini, civili e soldati lasciati a bruciare come se non vi fosse discriminante tra chi combatte e chi è combattuto, strade, ponti e palazzi distrutti forse riconoscendole proprio lo stile orrendo di un residuo di grigie krusciove, bambini che dopo aver conosciuto le privazioni della pandemia si accorgono che, di colpo, è iniziata una nuova restrizione della loro fantasia, della loro libertà.

Così, “mentre mangio cioccolata in un locale, mi travolge una vertigine sociale”. E mi sovvien l’eterna domanda: perché mai il presidente di un paese che ha scelto di tenere molto lontano dalla democrazia, che si autonomina a vita, che vede i suoi oppositori scomparire magicamente nel nulla (ovvero nel novichok), che pur essendo il leader di una nazione tra le più ricchi di risorse naturali al mondo relega la maggioranza dei suoi cittadini alla semi povertà, che priva di qualunque legislazione moderna sulla contaminazione ambientale i suoi territori rendendoli bombe ecologiche a cielo aperto, che riscalda le sue genti col carbone e vende all’estero il “più pulito” gas, che considera l’amianto un innocuo materiale da costruzione, che perseguita la diversità e arresta chi la difende, che arruola psicologicamente i suoi futuri soldati già da quando sono bambini, che destina più della metà delle finanze nazionali alle spese militari, che costruisce ville private mentre una gran parte dei cittadini vive insieme agli scarafaggi, che è – per farla breve – un nazionalista, guerrafondaio, omofobo, esaltato, machista e oligarca, perché mai – dunque – può credere che le nazioni, che faticosamente dalla dissoluzione dell’URSS hanno cercato l’emancipazione da tutte queste privazioni e assurdità nella gestione della res (poco) pubblica dell’ex unione, abbiano interesse a rientrare a far parte della grande madre Russia che ripudia quotidianamente, sin da principio, i suoi nascituri?
È vero, la NATO preoccupa Putler e i suoi da sempre (diventandone la retorica dominante). La sua espansione è ingiustificata. L’America fa ridere quando bacchetta gli altri e cancella la memoria sull’Iraq, l’Afghanistan, l’Iran, il Vietnam, il Kuwait, e ce ne sarebbe una sfilza. La Cina almeno ha il buon gusto di star zitta e fare un ok sottobanco all’amico d’oriente cosicché, appena possibile, Hong Kong e Taiwan possano fare la stessa fine. La Francia non menziona le sue ingerenze nelle (ex?) colonie africane, nei suoi territori extraeuropei e ovunque abbia lasciato disperazione nel suo passato (e presente?) colonizzatore e prova a negoziare. L’Italia un po’ teme che si scateni la “defascistizzazione”, un po’ di dover riaprire le centrali a carbone (anzi di non chiuderle, che a Enel non dispiacerà mica!). La Germania muta è, come si confà a chi ha già dato, in passato, ma ha dato eccome. Tra l’altro un po’ di nucleare ce l’ha ed è sicuro (dice il ministro della transizione ecologica italiano, girando le spalle a Cernobyl dove ora si combatte). La Grand Br-exit, rientra un attimo tra le stelle in cerchio e spettinata come il suo premier spedisce armi a destinatari imprecisati. Ma con il suo vile attacco (premeditato), che ha già mietuto moltissime vittime e tante ne lascerà in quella miseria che sembra il biglietto da visita delle genti sotto le sue tutele, Putler non rischia di avvalorare ancor di più le tesi di chi ne invoca la necessità? Non sarà che un’escalation di totalitarismo abbia fatto perdere la testa a colui che, definito “un genio” da altri dittatori sparsi qua e là anche in terre più occidentali, si sta rivelando essere il politico più autolesionista (o stupido?) che la storia ricorderà? Con una sola mossa (ma non dimentichiamo l’annessione forzata della Crimea, la Cecenia, il Donbass, i lavori forzati a poveri e minoranze, le violazioni dei diritti umani, di espressione, di associazione, di aggregazione, etc.) si è inimicato molto più di mezzo mondo, perdendo – tra le cose che l’hanno più ferito (più del rublo diventato carta straccia nottetempo) – la finale di Champions a San Pietroburgo e il riconoscimento internazionale del suo amato Judo.
Alla guerra, però, non c’è mai giustificazione. È sbagliata e chi la fa sbaglia e va condannato. Punto. Pubblicamente. Punto esclamativo! Qui non conta la NATO, non conta la propaganda, non conta la minaccia “potenziale”, non conta nemmeno la richiesta di soccorso messa in scena da mercenari inviati sul fronte dallo stesso committente dell’attacco. La guerra è morte, distruzione e, mai dimenticarlo, inquinamento. La guerra è vile, meschina e, mai dimenticarlo, mortale. Putler lo sa bene, ma trova ogni scusa per motivarla in un’estasi da espansionismo con strategie militari novecentesche. Un approccio retrogrado, come lo stato in cui costringe il suo stato. Eppure, non la si può definire una guerra della Russia. Moltissimi cittadini, volti noti e meno noti, manifestano coraggiosamente (perché dove ruglia l’orso non è permesso dissentire, pena l’arresto) contro le scelte scellerate del loro rappresentante (il quale continua a perdere voti, sebbene sia in grado di mascherare le defezioni). Giovani e anziani accettano l’arresto pur di manifestare contro le scelte dei propri governanti. Questa è una guerra del governo russo contro i valori deprecabili su cui è fondato.

Il problema più grande, come diceva Lev Tolstoj (russo) è che “se tutti andassero in guerra solo in base alle proprie convinzioni, le guerre non ci sarebbero più”. Il problema, quindi, devono risolverlo sempre gli esseri umani, i civili innocenti. In questo caso, un popolo schiacciato dall’Alleanza Atlantica da un lato (ma che non corre in suo sostegno perché non ne fa parte) e dalle bombe dall’altro (di chi dichiara di volerlo “demilitarizzare e denazistizzare”, neologismi bellici contemporanei per buttarla un po’ in caciara e confondere l’opinione pubblica). E la pacifica e democratica Europa cosa fa? Lascia morire degli innocenti? Lascia invadere nazioni con le armi? Deve farlo, perché ricattata con la dipendenza dai combustibili fossili, scelta voluta da governi molto poco lungimiranti sebbene meno guerrafondai (dal dopoguerra in giù), e con le pressioni americane. Non è possibile sanzionare chi ti vende il gas che riscalda il tuo paese e che controlla una buona fetta del petrolio che alimenta la tua economia. Allora sanzioni tutto, dal calcio alle caciotte, ma l’energia no. L’energia è sacra. Fa crescere (verso cosa?) l’economia degli stati. Così si sviluppano sostenibilmente (in che senso? Propongo qui l’abolizione della parola sostenibile dal dizionario economico-politico) pur non avendo un pianeta sul quale esserlo. Sviluppati.

Sarà, dunque, arrivato il momento per l’Europa (Italia inclusa) di liberarsi dalla NATO, dal versante occidentale, e dai combustibili fossili, da quello orientale, così da essere finalmente indipendenti dal ricatto della guerra, se non anche delle pandemie, dei cambiamenti climatici e dello sfruttamento scellerato della Natura che, rimarginatesi queste piaghe d’oggi (a quale prezzo di vite umane? Con quale perdita di vite delle altre specie?), riprenderanno subito dopo, inesorabilmente.
Così, mentre cerchiamo di capire questo mondo complicato, alziamo lo sguardo al cielo e non vediamo più sole o altre stelle. C’è una palla scura e infiammata, piena di mostri, guerre, pandemie e disastri ambientali che oscura il firmamento. Ce lo dicevano di “non guardare in alto”. Avremmo dovuto essere critici prima e alzare la testa? A questo punto non ci resta altro che fare “con il culo… Ciao ciao!”. Magari sulle chiappe, come un Bart che ha assimilato – finalmente! – i principi morali di Lisa, dipingiamo un bel arcobaleno. Potrebbe accadere che qualche satellite a stelle e strisce o a falce e martello lo scopra e ci bombardino, ma chissà che non lo veda un alieno dalla sua navicella e venga a salvarci da noi stessi.
Testo e foto di
Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D.
Professore di Biologia della Conservazione,
Università di Bologna
*Pubblicato sul numero 97 – Marzo 2022 di Villaggio Globale – Trimestrale di Ecologia
Ciao Roberto,
è un commento completo e chiarissimo il tuo,che non tralascia nulla e che considera con grande lucidità molte delle cause della nostra stessa debolezza,prima fra tutte la voglia di potere,o sulla natura o sull’uomo.Dici bene,qui nessuno è più bravo dell’altro .Tutti abbiamo i nostri torti.Tanti stati che ora condannano Putin,hanno fatto lo stesso in altri momenti e forse per questo le richieste di pace arrivano deboli e insignificanti all’orecchio di chi ora vuole la guerra.
Pur tuttavia, non posso non ammirare chi si rimbocca le maniche e aiuta chi sta fuggendo e chi dall’alto sta proclamando il bisogno di pace.
Voglio sperare che questa mobilitazione generale faccia diventare questi Paesi veri e reali sostenitori della pace ora e sempre anche in situazioni che si dovessero presentare in futuro,sia lì come altrove e ovunque.La guerra è sempre una sconfitta.