La Terra brucia, le foreste scompaiono e il tempo stringe

Le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici sono inutili senza la lotta attiva gli incendi e alla deforestazione

Negli ultimi anni anche i presagi più “catastrofisti” di coloro che erano stati additati come “catastrofisti” si sono rivelati “catastrofici”. Eppure in tanti si sono lanciati nelle più fantasiose invettive contro “le bugie degli ambientalisti”. Ma ora che la catastrofe è sotto gli occhi di tutti (e, purtroppo, alla gola di molti), con incendi mastodontici in ogni parte del mondo, pioggia mai vista prima sulla calotta glaciale, desertificazione cavalcante persino in Europa e temperature altissime mai registrate da quando esistono i sensori termici, a qualcuno dei detrattori dell’ecologismo e degli urlatori contro gli “allarmismi inutili” un po’ di imbarazzo dovrà essere venuto.

Si parla molto di politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici, di strategie per la decarbonizzazione, di riduzione e assorbimento dell’anidride carbonica, ma tutto questo rischia di essere vano se non si arresteranno incendi e deforestazione che corrono ancor più veloci verso il punto di non ritorno planetario. Il clima è un paziente complesso, influenzato da molti fattori e il meccanismo circolare che porta all’aumento degli incendi, in seguito all’aumento delle temperature, che non fanno altro che incrementare i livelli di gas serra dalla combustione della vegetazione e, in un circolo vizioso, innalzare ancor più la febbre planetaria non è diverso da quello che con la deforestazione rimuove la capacità di assorbimento della Terra del biossido di carbonio e contribuisce all’effetto serra. Per farla breve, incendi, deforestazione e cambiamenti climatici sono tre facce di una medaglia che non premia nessuno.

Eppure per decenni si è creduto alle favole della produzione di legno certificato, della deforestazione “controllata” dagli stessi deforestatori-controllori, all’olio di palma sostenibile che non taglia foreste oggi perché le ha tagliate ieri, all’autocombustione della vegetazione, agli incendi naturali nelle foreste, ai cicli solari che innalzano la temperatura, alla CO2 che non aumenta la temperatura, etc. Persino insigni professori universitari italiani, ospiti costanti degli show televisivi (sarà per questo che non hanno tempo per studiare e fare vera ricerca?!), si sono affannati a ribadire tali fandonie in ogni salotto mediatico. In realtà, la produzione di legno certificato e la produzione di olio di palma sostenibile non hanno fatto altro che favorire il taglio delle foreste, le legende di autocombustione e naturalità degli incendi hanno rallentato l’impegno degli stati in una lotta attiva al fuoco, il negazionismo nei confronti dei cambiamenti climatici causati dall’uomo ha creato scetticismo nell’opinione pubblica e giustificato l’inettitudine di molti paesi mossi solo da interessi economici.

Certo, si sono susseguite conferenze mondiali sul clima, ma hanno portato a poco e ci hanno semplicemente ricordato che l’Europa (e nemmeno tutta) è l’unica parte del mondo minimamente interessata al problema. Le azioni, tutte chiacchiere, delle potenze mondiali come USA, Russia e Cina sono umorismo, peraltro di cattivo gusto. La lotta all’effetto serra, seppur fosse condotta con impegno globale, rischia comunque di fallire rovinosamente se non si porrà un freno (serio, privo greenwashing come fatto sinora tra illusioni di green economy e proclami di sostenibilità) alla perdita di foreste mondiali e agli incendi devastanti che oltre ai tropici, stanno cancellando persino le foreste temperate e boreali di Canada, Alaska e Russia.

In due recenti studi abbiamo, ad esempio, rilevato che il disboscamento (molto probabilmente illegale o ai limiti della legalità) insieme agli degli incendi sono la causa della deforestazione che sta minacciando pesantemente la biodiversità persino delle aree strettamente protette in Russia e questo incrementa le emissioni gas serra. Abbiamo stimato che, solo nelle aree altamente protette russe (come parchi nazionali, zone Ramsar, patrimoni Unesco, ecc.), sono andati persi oltre 1,5 milioni di campi da calcio di foreste boreali, solo negli ultimi due decenni (The smokescreen of Russian protected areas, https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2021.147372).

In Russia, la taiga preserva la biodiversità, ospita specie endemiche, immagazzina carbonio ed è abitata da popolazioni indigene. Le foreste russe contengono, sopra e sotto il suolo, quasi il 50% del carbonio terrestre dell’emisfero settentrionale. Tuttavia, negli ultimi anni, vaste aree di foreste boreali russe sono state danneggiate da diversi fattori, principalmente da disboscamento e incendi, che hanno portato a una significativa perdita di vegetazione naturale anche nelle aree protette, come dimostra il nostro studio.

Perdita di copertura vegetale rilevata in un’area del Parco del Lago Baikal in Russia rilevata da satellite

Fonti ufficiali attribuiscono l’enorme perdita di foreste in Russia principalmente agli incendi e sostengono che la loro fluttuazione sia dovuta ad anomalie climatiche, sebbene sia stato dimostrato che oltre l’87% degli incendi nella Russia boreale sono appiccati dall’uomo. Persino nelle duecento zone russe a più alta protezione, oltre 3 milioni di ettari di foreste e vegetazione naturale sono andate perse tra il 2001 e il 2020 (Clarifying the smokescreen of Russian protected areas, in pubblicazione).

Guardando le immagini satellitari si resta sbalorditi nello scoprire le vaste aree distrutte dal fuoco che contribuiscono alla perdita di foreste. Una delle situazioni più drammatiche in Russia riguarda l’area protetta intorno al Lago Baikal (un sito patrimonio mondiale UNESCO che preserva specie rare ed endemiche, quasi due terzi delle circa millecinquecento specie animali e un migliaio di specie vegetali della Russia) che ha subito una impressionante perdita di foreste di oltre 500mila ettari a causa di incendi e deforestazione (presumibilmente illegale visto che si tratta di un’area a massima protezione).

È evidente che la scomparsa di milioni di ettari di foreste nelle aree protette russe (così come in altre parti del mondo) ha contribuito in modo significativo al cambiamento climatico e al declino della biodiversità. Sfortunatamente, la domanda locale e internazionale di risorse forestali, sostenuta da finanziamenti pubblici, sta favorendo l’intensità dell’attività di deforestazione, persino in Europa e in Italia (si veda la recente lettera pubblicata su Nature: Italy: Forest harvesting is the opposite of green growth, https://www.nature.com/articles/d41586-021-01923-x). L’assurdità è che quasi sempre il taglio delle foreste temperate e boreali va ad alimentare i camini privati, le stufe a pellet e le centrali a biomassa per la produzione di energia verde, che di ecologico non hanno proprio nulla.

Con le nostre ricerche, infatti, abbiamo scoperto che, sebbene gli incendi boschivi siano una delle principali cause di perdita di alberi all’interno dei confini delle aree protette russe, le attività forestali (che possono essere identificate principalmente nel disboscamento) hanno contribuito, almeno per il 16%, alla perdita complessiva di quasi 3 milioni di ettari di alberi tra il 2001 e il 2020. La combinazione di incendi boschivi (che, secondo fonti locali, sono spesso avviati intenzionalmente) e attività forestali (che secondo le organizzazioni ambientaliste e i tribunali locali sarebbero state messe in atto illegalmente o ai limiti della legalità) è responsabile del 91% della perdita di copertura arborea nei parchi a massima tutela della Russia, dove – invece – non si dovrebbe rilevare alcun impatto antropico. Questa consistente perdita di ecosistemi naturali, non solo nell’ex Unione Sovietica ma in tutto il pianeta, minaccia la biodiversità, in particolare quando gli incendi boschivi e il disboscamento colpiscono aree rigorosamente protette che conservano piante e animali rari, già sotto pressione a causa dei cambiamenti climatici. Paradossalmente, la fauna selvatica è ancora più minacciata dal fuoco e dal taglio degli alberi in aree rigorosamente protette perché le specie rare vivono e vengono preservate, principalmente, proprio all’interno dei loro confini.

Sebbene queste ricerche si basino su un’analisi dell’ultimo ventennio, l’impatto degli incendi boschivi e del disboscamento sugli ecosistemi protetti può durare secoli e, a volte, millenni perché il ripristino delle dinamiche ecologiche e delle interazioni tra specie negli ecosistemi vetusti è un processo lungo. Evidentemente, il cambiamento climatico, l’aumento delle temperature e la siccità facilitano la combustione della vegetazione. Tuttavia, le cause naturali sembrano solo favorire i danni causati dai continui disturbi antropici, come il degrado delle foreste e gli incendi dolosi. Il fatto che, solo in aree strettamente protette della Russia, circa il 10% della copertura arborea sia andato perso negli ultimi due decenni e che nel resto del pianeta la situazione non è diversa, richiede un’elevata attenzione da parte dei responsabili politici e importanti azioni di conservazione per evitare di dire addio ad altri habitat e specie fondamentali durante i prossimi anni, ora che i cambiamenti climatici e la crescita della popolazione rappresentano ulteriori micce di una situazione già esplosiva.

Se si considera che la maggior parte delle cause di perdita delle foreste (così come dei cambiamenti climatici) sono legate alle attività umane, la situazione potrebbe essere controllata attraverso una migliore gestione e politiche volte ad aumentare l’efficacia nella protezione di queste importanti aree naturali e della loro preziosa biodiversità. È necessaria una risposta urgente da parte delle autorità nazionali e locali che dovrebbero iniziare a combattere attivamente gli incendi, i piromani e i taglialegna. Altrimenti i summit globali saranno solo un specchio per allodole assetate con le penne bruciacchiate.

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D.,

Biologo ambientale ed evolutivo

Professore associato in Diversità e Conservazione Biologica,

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

*Pubblicato su Villaggio Globale Anno XXIV – N. 95 – Settembre 2021