La situazione del Mar Mediterraneo e degli oceani mondiali sotto osservazione
Siamo animali prevalentemente terrestri e per la maggior parte di noi il mare è solo un passatempo estivo o la fonte di qualche prelibatezza culinaria. Spesso, quando pensiamo all’ecosistema marino ci vengono in mente soprattutto ombrelloni, spiagge e fritture di pesce. Eppure quell’immensa distesa blu che in lontananza si mescola col cielo è sempre stata una delle principali fonti d’ispirazione di scrittori, poeti, pittori e musicisti. Nonostante questo, il mare per noi esseri umani è ancora un affascinante mistero e, al di là di barche a vela, castelli di sabbia e gabbiani ne sappiamo davvero poco. Questa è una delle ragioni per cui nell’ultimo secolo alcune pioneristiche spedizioni hanno condotto uomini coraggiosi negli angoli più reconditi degli abissi, nelle buie profondità oceaniche e tra distese d’acqua dove la terra emersa dista migliaia di chilometri.
Negli anni 80 siamo stati affascinati dalle avventure di Jacques-Yves Cousteau, dalle sue campagne oceanografiche di ricerca ai documentati, che per la prima volta hanno mostrato al mondo una parte di vita che nemmeno riuscivamo a immaginare. Lo sviluppo tecnologico e il crescente interesse per la biologia marina hanno portato sempre più documentaristi e scienziati a sondare in lungo e in largo gli oceani del mondo, ma la vastità di questi ambienti è tale da non poterci considerare nemmeno a un terzo dell’esplorazione. Conosciamo meglio la superficie lunare degli oceani sulla Terra!
Nessuno, ad esempio, prima del regista ed avventuriero James Cameron aveva mai raggiunto una profondità di 10.898 metri arrivando a toccare il fondo del Challenger Deep, nella Fossa delle Marianne, ovvero il punto più profondo della Terra. La sua avventura nel 2012, che ha permesso di documentare per la prima volta alcune misteriose creature degli abissi e di raccogliere preziosi campioni d’acqua e sedimenti, è stata mossa principalmente dal suo amore per l’ambiente marino, lo stesso che nel 1997 lo portò alla regia del kolossal cinematografico Titanic. Nel film tutta la potenza del mare emerge in un dramma che coinvolge l’uomo, il quale appare impotente dinanzi a una tale manifestazione di forza della Natura. Eppure Cameron ha documentato, con la sua spedizione nelle profondità dell’Oceano Pacifico, quanto il moto di quelle masse d’acqua in superficie sia solo un’apparente confine tra noi e il mistero in esso celato. Al suo interno esseri viventi dalle forme aliene bioluminescenti, microscopici organismi produttori di nuvole e giganteschi cetacei dai cervelli dieci volte più grandi di quelli umani danno vita a un segreto spettacolo che va in scena da milioni di anni.
Questa estate, distesi al sole in spiaggia, ci basterà dedicare qualche minuto a riflettere su quanto ancora oggi, nel 2015, ci resta da scoprire degli ecosistemi più estesi sul pianeta, per ammirare il mare in maniera diversa. Solo qualche giorno fa sono stati pubblicati i dati preliminari di oltre 35.000 campioni raccolti in tre anni e mezzo di navigazione dalla goletta Tara tra gli Oceani Indiano, Pacifico e Atlantico.
Grazie a questa spedizione è stato possibile tracciare la prima mappa globale degli organismi planctonici e di batteri e virus che vivono negli gli strati superficiali degli oceani, dove la luce è disponibile per la fotosintesi. Gli scienziati, grazie alle analisi genetiche hanno potuto identificare più di 35.000 specie di procarioti, prevalentemente batteri e archea e circa 150.000 specie di organismi eucarioti (fitoplancton e zooplancton), molti dei quali rimasti sconosciuti sino ad oggi.
Sono state scoperte numerose simbiosi e interazioni tra i differenti organismi marini, i quali necessitano gli uni degli altri per vivere, e grazie a queste informazioni raccolte è stato possibile dimostrare che quasi la metà di tutto l’ossigeno disponibile in atmosfera è prodotto dagli organismi marini.
Se pensiamo che questa raccolta dati ha coinvolto solo i primi 200 metri della colonna d’acqua, quando la profondità marina media globale è di 3800 metri, ci rendiamo conto di quale straordinaria biodiversità e di quanti altri affascinanti misteri i mari e gli oceani mondiali possano essere custodi.
Tutto questo stupore scientifico, tutta questa pletora di curiosità e tutta l’arte (dai film di Cameron ai quadri di Turner) che hanno ispirato e continuano a ispirare non permettono, però, a questi ambienti di sfuggire all’indifferente mano distruttrice umana.
Il nostro Mar Mediterraneo, ad esempio, è stato maltrattato per molti decenni con lo sversamento di liquami inquinanti, l’affondamento di materiale radioattivo (soprattutto lungo le coste della Calabria), la dispersione di materiale plastico galleggiante e la pesca intensiva. Proprio quest’ultima problematica (nota come overfishing), accentuata dagli altri fattori di stress, ha spopolato buona parte degli ecosistemi mediterranei e ora si stima che il 90% degli stock ittici, ad esempio, sia stato completamente rimosso e non sia in grado di rigenerarsi nel breve-medio termine. Alcune specie come il tonno rosso (Thunnus thynnus), diventato negli ultimi anni oggetto di culto dagli stimatori di sushi, ha registrato una drammatica riduzione della popolazione, nonostante i paesi che si affacciano sull’areale di distribuzione di questa specie continuino a procrastinare un fermo di pesca che possa permetterle di recuperare. In realtà molti biologi marini credono che la popolazione sia stata così ridotta all’osso che vedremo l’estinzione di questo animale entro i prossimi 10 anni.
Non se la passano meglio nemmeno le altre specie ittiche. Secondo l’IUCN “la regione mediterranea ospita alcune delle popolazioni di pesci cartilaginei più minacciate al mondo; al momento, infatti, ben il 12% dei pesci ossei e il 40% dei pesci cartilaginei nativi risultano essere minacciati di estinzione a livello regionale”.
Inoltre, secondo un recente studio, l’inquinamento, la graduale riduzione dell’habitat naturale, l’uso di nuove tecnologie e la pesca eccessiva rischiano di portare all’estinzione specie come naselli, spigole, cernie, mante e le due specie di cavalluccio marino. A grave rischio sono anche i mammiferi e i rettili che vivono nel Mediterraneo come la balenottera comune, il delfino comune e il tursiope, il grampo, l’orca, la foca monaca, la tartaruga marina Caretta caretta e la tartaruga liuto.
E non sono meno minacciati gli altri ecosistemi marini del mondo. Le barriere coralline – gli ecosistemi marini più biodiversi – registrano, negli ultimi anni, un fenomeno noto come bleaching (ovvero “sbiancamento”) dovuto all’incremento delle temperature che interrompe la delicata simbiosi tra polipi e alghe (zooxantelle) e, con la “fuga” di quest’ultime, porta questo effimero consorzio di organismi a una graduale perdita di capacità fotosintetica, che uccide il corallo lasciandone uno scheletro calcareo vuoto. Come se non bastasse, le erronee previsioni sull’andamento degli stock ittici realizzate con ipersemplificati modelli matematici e l’assenza d’iniziative politiche volte a tutelare le risorse alieutiche contribuiscono a peggiorare gli effetti dovuti dei mutamenti climatici.
Qualche mese fa è stato scoperto che i cetacei agiscono da controllori del rilascio di sostanze e gas verso i fondali e l’atmosfera grazie a una complessa rete di connessioni con lo zooplancton di cui si nutrono, il fitoplancton che alimenta quest’ultimo e i pesci e gli organismi decompositori che entrano a far parte del network alimentare. Giganteschi organismi che controllano, letteralmente, il nostro clima. Sembra assurdo, ma se pensiamo che le nuvole siano un prodotto dello zolfo emesso in microscopiche particelle dalle alghe che galleggiano in superficie, ci rendiamo conto di quanto l’interno pianeta sia interconnesso e agisca come un unico organismo. Quella Gaia che James Lovelock ha profetizzato ricevendo lo scherno degli scienziati meccanicistici, coloro che credendo in un approccio matematico (e meno hippy, a loro dire) al problema della pesca ci hanno rassicurato che avremmo potuto continuare così per sempre. Invece, dopo solo cinquant’anni ci ritroviamo a fare i conti con la desertificazione di oceani e mari.
Tra un fetta d’anguria e un bagno rinfrescante, quest’estate, abbiamo qualcosa d’importante a cui pensare, affinché la nostra eredità non sia un’immensa piscina senza vita, ma una straordinaria varietà di forme e colori protetta da un increspato velo blu.
Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D.
Biologo ambientale ed evolutivo
Associate Professor, Biological Institute, Tomsk State University, Russia
Research Associate, Dep. of Forestry and Natural Resources, Purdue University, USA
Pubblicato sul numero di giugno-luglio 2015 di Bio-Eco-Geo [leggilo in pdf] – TESTI E FOTO DI ROBERTO CAZZOLLA GATTI