L’interazione tra deforestazione e mutamenti climatici ha effetti catastrofici
Uno dei principali problemi che affliggono le foreste tropicali è la deforestazione. Un recente studio che ho coordinato in Africa con l’Università della Tuscia e il Centro Euro-Mediterraneo sui Mutamenti Climatici (Cazzolla Gatti R. et al., The impact of selective logging and clearcutting on forest structure, tree diversity and above-ground biomass of African tropical forests, Ecological Research, 12/2014) dimostra, però, che anche pratiche ritenute più sostenibili, come il taglio selettivo (che ha preso piede in molte zone d’Africa e del Sudamerica), hanno conseguenze rilevanti sugli ecosistemi.
La ricerca ha analizzato i dati raccolti dopo quattro anni di ricerche in campo su 511 plot di foresta tropicale in Sierra Leone, Ghana, Camerun e Gabon. Le aree erano state gestite con differenti modalità: nessun taglio recente (foreste primarie), taglio selettivo (fino a 30 anni) e ricrescita dopo taglio a raso (foreste secondarie di almeno 20 anni). I risultati suggeriscono che gli effetti del taglio selettivo sono maggiori di quelli che ci si aspetterebbe rimuovendo solamente le specie d’interesse commerciale e che questi possono persistere per decenni. Il taglio selettivo, e non solo la deforestazione totale, può ridurre significativamente la biomassa di una foresta tropicale, diminuendo così, notevolmente, la capacità di stoccaggio del carbonio e la biodiversità arborea.
I nostri risultati dimostrano, inoltre, che la struttura verticale e la ricchezza di specie delle aree sottoposte a taglio selettivo e delle foreste secondarie variano ampiamente rispetto in a quelle delle foreste primarie, mentre la quantità di specie rampicanti infestanti aumenta di molto e questo produce un effetto cascata anche dopo molti anni (>30) sulla biomassa delle foresta, che diminuisce insieme alla sua biodiversità.
Questa riduzione di massa legnosa e di specie è una grave conseguenza dello sfruttamento operato dall’uomo su quelle foreste che dovrebbero rappresentare il polmone di assorbimento dei gas ad effetto serra immessi dall’uomo in atmosfera durante gli ultimi tre secoli.
I tagli, invece, selettivi o a raso diminuiscono la quantità di carbonio stoccato (rimuovendo biomassa accumulatasi in molti secoli, e in alcuni casi persino millenni) dalle foreste pluviali e riducono la resilienza del nostro pianeta agli effetti provocati dai mutamenti climatici.
In più, questa riduzione di biomassa e l’incremento di emissioni, si pensava potessero essere compensate da una maggior velocità di crescita degli alberi tropicali per una sorta di effetto “fertilizzazione” dovuto alla maggior CO2 presente in atmosfera.
Ciò che è invece emerso da uno studio condotto su carote di legno prelevate da alberi centenari del Bacino del Congo e realizzato grazie a una collaborazione tra l’Università di Viterbo, il CMCC e l’Università di Caserta (Battipaglia G, Zalloni E, Castaldi S, Marzaioli F, Cazzolla Gatti R, Lasserre B, et al. (2015) Long Tree-Ring Chronologies Provide Evidence of Recent Tree Growth Decrease in a Central African Tropical Forest. PLoS ONE 10(3): e0120962) è che questa fertilizzazione non sta aumentando, anzi riduce, la capacità di crescita degli alberi, conducendo a una diminuzione della biomassa effettiva contenuta nelle foreste.
Non è, infatti, ancora chiaro se l’aumento esponenziale della concentrazione di CO2 nell’atmosfera ha prodotto un effetto di fertilizzazione sulle foreste tropicali, incrementando in tal modo il loro tasso di crescita, negli ultimi due secoli. Poiché molti fattori influenzano i modelli di crescita degli alberi, gli studi a breve termine potrebbero essere influenzati dall’effetto confondente di diverse variabili ambientali che interagiscono sulla crescita delle piante. Le analisi a lungo termine della crescita degli alberi possono chiarire le tendenze nel tempo della risposta di crescita della biomassa arborea rispetto ai fattori dominanti (come la CO2). Lo studio degli anelli annuali, applicato alle misurazioni dendrocronologiche degli alberi di foreste tropicali consente tale tipo di analisi. Le dendrocronologie di lungo-termine degli anelli di alberi appartenenti a tre diffuse specie africane sono state misurate nello studio sopra menzionato per analizzare la crescita arborea nel corso degli ultimi due secoli. I trend di crescita sono stati correlati ai cambiamenti atmosferici globali della concentrazione di CO2 e alle variazioni locali nei principali fattori climatici: temperatura e piovosità.
I risultati della ricerca non hanno fornito alcuna evidenza di un effetto di fertilizzazione da parte dell’anidride carbonica sulla crescita degli alberi. Al contrario, è stato osservata una diminuzione complessiva della crescita per tutte e tre le specie nel secolo scorso, nonostante un notevole aumento della temperatura locale. Questi risultati forniscono sostegno supplementare alle osservazioni globali che mostrano un rallentamento del sequestro di carbonio nei tronchi degli alberi delle foreste negli ultimi decenni. I dati indicano che il solo aumento di CO2 non è sufficiente per ottenere un incremento di crescita degli alberi delle zone tropicali. L’effetto di altre variabili ambientali, come la diminuzione della piovosità e la temperatura, può aver annullato l’effetto di fertilizzazione dovuto all’anidride carbonica.
Se questo calo nella crescita, associato alla perdita di biomassa dovuta alla gestione (taglio selettivo o a raso), viene tradotto in termini di capacità di resilienza ai cambiamenti climatici dell’intero pianeta, le speranze che un eccesso di emissioni da parte dell’uomo possa essere semplicemente e linearmente ridotto dall’assorbimento dei polmoni verdi globali sembrano essere esigue.
Forse è proprio arrivato il momento di abbandonare l’illusione che tutto sulla Terra sia semplice, gestibile e lineare, di confidare sempre nell’aiuto di una “madre che ormai ci ripudia” e nella nostra beneamata tecnologia ed è ora di fermare la folle corsa verso un’insensata crescita.
Le foreste tropicali sembrano non voler assecondare la nostra bulimica fame e, invece, si son messe a dieta e stanno perdendo biomassa…
Roberto Cazzolla Gatti
Associate Professor, Biological Institute
Bio-Clim-Land Centre, Tomsk State University, Russia
Pubblicato su Villaggio Globale di Giugno 2015