Avrei ottenuto lo stesso risultato con cure NON sperimentate sugli animali?

Ovvero, perché la sperimentazione sugli animali-non-umani non è necessaria!

In seguito al mio articolo dal titolo “In difesa della sperimentazione animale: la banalità del male”, scritto in questi giorni a un anno di distanza dal caso Simonsen, ho ricevuto ulteriori considerazioni e lettere. Tra queste ultime mi ha molto colpito quella cordiale, interessata e gentile del sig. Antonio, che mi scrive:

“Buonasera.
Premetto che ho letto di Caterina Simosen quel che ho potuto leggere in giro e ascoltare in TV, premetto che io per primo non godo di buona salute (son più le volte che entro in ospedale che quelle quando sto fuori), ma quel che vorrei sapere è: per le patologie di Caterina, esistono davvero altre alternative che le garantiscano una qualità della vita almeno pari a quella che ha attualmente con cure e farmaci preventivamente sperimentate sugli animali? Perché, ed è qui il punto, laddove esistano, sarebbe produttivo e giusto farlo notare e diffondere tali studi o ricerche.

Ad esempio, a me è stato tolto l’intero colon e un pezzo di tenue (ma a quanto pare non sarà sufficiente). Dopo l’intervento sono stato sommerso di antibiotici, morfina e antidolorifici, tutti farmaci preventivamente sperimentati sugli animali. La domanda è: avrei ottenuto lo stesso risultato con cure NON sperimentate sugli animali? Lo stesso trattamento dell’infezione? Al posto dell’eparina, cosa avrei dovuto o potuto utilizzare?

Chiedo scusa per l’eventuale disturbo arrecatovi e vi ringrazio per il tempo dedicatomi”.

Ho preferito rispondere alle domande complesse e meritevoli di un’analisi più approfondita di un semplice commento con una lettera di risposta.

Prego il sig. Antonio e quanti sono interessati all’argomento di leggere le mie risposte, (o i tentativi di risposta, nei limiti delle possibilità umane) ai suoi interrogativi, qui di seguito.

“Caro Antonio,

la ringrazio per la sua lettera e mi dispiace per le sue condizioni di salute. Il suo punto di vista, non solo di lettore o curioso, ma anche di paziente è d’inestimabile importanza. Penso che solo coinvolgendo nella discussione tutti coloro che necessitano di cure, e pertanto dipendono delle scienze biomediche, si potrà progredire e trovare nuove risposte.

Inverto l’ordine delle sue domande e provo a fornire delle risposte, che la prego di considerare del tutto personali e a lei fornite con l’attenzione e la sensibilità che si deve (e di casi ne ho toccati tanti con mano, anche tra i miei affetti più cari) a chi subisce interventi salvavita o a coloro che la propria vita la devono alle scienze biomediche.

Parto dall’eparina, ad esempio, per rispondere alla domanda: “avrei ottenuto lo stesso risultato con cure NON sperimentate sugli animali”? La risposta è: sì!

L’eparina è l’anticoagulante più utilizzato in medicina e chirurgia e dalla sua scoperta è ritenuto il secondo o terzo farmaco (o sarebbe meglio dire molecola) più importante in chirurgia, alle spalle probabilmente dei soli anestetici. Ma al di là delle classifiche, questa molecola ricca di cariche negative tali da garantirle eccezionali proprietà anticoagulanti è, ebbene sì, di origine animale, estratta dalla mucosa intestinale di suino o dal polmone di bovino. A questo punto lei mi dirà che, pertanto, abbiamo una chiara dimostrazione dell’utilità della sperimentazione animale, visto che stiamo parlando del secondo o terzo farmaco più utilizzato in chirurgia. Invece, no…

Purtroppo, l’eparina è stata utilizzata così di sovente negli ultimi decenni, a causa di un’impennata della patologie cardiovascolari dovuta a una cattiva alimentazione con eccesso di proteine e grassi animali (quindi, anche di colesterolo e B12), che il fabbisogno di tale principio farmacologico ha superato la disponibilità “naturale”. Fino a poco tempo fa si otteneva questa sostanza dagli animali macellati, negli ultimi tempi invece la domanda è stata tale da destinare un’intera “linea” di animali di allevamento (una quantità di gran lunga superiore a quelli necessari per il mercato alimentare) all’uccisione per ricavarne il farmaco.

Tale situazione ha portato il mercato farmaceutico all’importazione dai paesi dell’est della sostanza, poiché in zone come la Cina l’incremento della popolazione ha permesso un maggior consumo di carne e, quindi, una maggior disponibilità di eparina.

Anche in Oriente, però, la domanda occidentale e orientale insieme ha subito ecceduto l’offerta e nella primavera di quest’anno si è verificata una delle più grandi sofisticazioni e contraffazioni della storia della farmaceutica. Infatti, i fornitori cinesi hanno pensato di sopperire alle carenze di eparina suina o bovina aggiungendo al prodotto fornito alle case farmaceutiche europee e americane una sostanza simile, ma inefficace (condroitinsolfato ipersolfatato). Il risultato è stato catastrofico per i pazienti ai quali era stato somministrato il farmaco (trova altre informazioni su molte testate nazionali e straniere; le suggerisco qui un articolo riassuntivo della Federazione Associazioni Italiane Informatori Scientifici del Farmaco: http://www.fedaiisf.it/giallo-delleparina/).

Qui, apparentemente, la sperimentazione animale ha poca responsabilità. L’uomo e gli interessi economici ci hanno messo molto del loro. Però questo caso, riguardante uno dei più diffusi farmaci al mondo, ci deve fa riflettere su un aspetto: i farmaci testati su, o che derivano da, animali prevedono l’utilizzo e, quindi, l’uccisione (guarda un po’) proprio degli animali. Ci accorgiamo di questa banale, quanto sfuggente, relazione solo quando gli animali “finiscono”. Poiché i ratti e i topi potenzialmente sono “risorse rinnovabili” e, al contrario di bovini e suini, allevabili in poco tempo e poco spazio, del loro sterminio ci accorgiamo poco.

Ora, constatata l’insostenibilità o l’immoralità di un metodo scientifico che prevede l’utilizzo e la morte di altra vita per curare delle vite, tornando alla sua domanda, l’alternativa c’è.

Una linea di ricerca finanziata con molti meno soldi di quelli destinati alla sperimentazione animale e mossa dalla consapevolezza dell’imminente carenza di “materia prima” per produrre l’eparina (quindi, come sempre, una ragione primariamente economica) ha spinto alcuni istituti di ricerca a studiare e tentare di sintetizzare una classe di anticoagulanti sintetici (quindi indipendenti dagli animali) che funzionasse anche meglio dell’eparina (i cui effetti collaterali possono essere davvero seri). E pensi un po’… ci sono riusciti. Hanno sintetizzato un’intera nuova classe di antitrombotici, più selettivi, affidabili ed economici. La invito a leggere qui: http://www.medinews.it/news,2014

Ora lei mi dirà che per testarla è stato, comunque, necessario l’utilizzo di animali. E invece no. Un anticoagulante rivela il suo effetto benissimo anche sui globuli rossi umani (derivanti da semplici prelievi).

Ebbene, ribatterà non contento, come la mettiamo con “antibiotici, morfina e antidolorifici”?

La risposta si fa generale qui, vista l’ampia classe farmacologica da lei considerata: semplicemente, i test di questi farmaci effettuati sugli animali-non-umani sono necessariamente stati poi validati sull’uomo. Che ci piaccia o no, decine di cavie anche umane hanno dovuto sottoporsi (e tuttora si sottopongono) ai trial previsti dalla legge. Quindi nessun farmaco che le viene somministrato è sicuro perché è stato testato sugli animali-non-umani, anzi controindicazioni e interazioni che trova scritte sui bugiardini sono i risultati dei test sugli uomini. Con lo sviluppo delle colture cellulari, dei modelli computerizzati e dei simulatori d’organi la stragrande maggioranza dei test sugli animali è inutile. A questo ci aggiunga che ci sono stati e ci sono tuttora innumerevoli casi di principi attivi innocui sugli animali-cavie, ma dannosi sull’uomo (i pro-test continuano a sostenere che il Talidomide non fu testato abbastanza o affatto sugli animali, ma ciò non è assolutamente vero, come facilmente dimostrabile leggendo le pubblicazioni riguardanti i test: http://www6.miami.edu/ethics/jpsl/archives/all/TestingThalidomide.pdf) e, viceversa, di molti farmaci che hanno dato risposte negative sugli animali-non-umani, ma si sono poi rivelati fondamentali per la cura umana (si cita spesso in questi casi, in maniera speculare rispetto al Talidomide, la penicillina, ma al contrario di quanto sostenuto da una certa cultura animalista anch’essa spesso poco avvezza a verificare le fonti – e quindi colpevolmente soggetta a critiche e attaccabile da chi altrettanto infondatamente sostiene l’utilità della sperimentazione animale – tale antibiotico è innocuo per conigli, topi e ratti come si evince dal lavoro di Fleming: http://www.scielosp.org/pdf/bwho/v79n8/v79n8a17.pdf).

Numerosi esempi di questi ultime sostanze (innocue per l’uomo ma dannose per gli altri animali) mi sono stati forniti da colleghi che operano nel settore farmaceutico i quali, tra le righe, lasciano continuamente intendere che farmaci estratti a caso dal cilindro dei laboratori e di cui si conosce ben poco, nonostante i numerosi test sugli animali-non-umani, vengano immessi sul mercato dopo le verifiche sull’uomo perché, inaspettatamente, hanno rivelato proprietà curative per patologie tipicamente umane.

Qui si aprirebbe un discorso parallelo e lungo che non è possibile affrontare in questa sede. Ciò che voglio mostrarle con questi esempi, piuttosto che dimostrarle (come diceva Federico Fellini: “Non voglio dimostrare niente, voglio mostrare”) è che della sperimentazione animale si può scientificamente ed economicamente fare, si fa già ampiamente e si deve moralmente fare… a meno!

La sua prima domanda verteva, invece, sul famoso caso della paziente Caterina Simonsen alla quale, al di là delle diffamanti e irresponsabili voci di chi difende la propria ideologia solo accusando ad personam (non discutono delle idee, le “menti piccole parlano delle persone” come diceva E. Roosvelt), sono molto vicino augurandole tutto il bene possibile, nonostante il veniale peccato di essersi fatta strumentalizzare da qualcuno molto più grande di lei (che le ha anche garantito un libro da pubblicare).

La ragazza, lo hanno detto e scritto in pochi, è affetta da una malattia genetica rara nota come “deficit di Alfa-1-Antitripsina”. La patologia è trasmessa in maniera ereditaria.

Purtroppo, per questa malattia non vi sono molte cure. Di sicuro non ve n’è una che dipenda dalla sperimentazione animale, sebbene la signorina Simonsen sia stata convinta a dire il contrario pur non avendone alcuna consapevolezza (ho chiesto, nella lettera a lei rivolta, di chiarirmi come la sperimentazione stia beneficiando il suo caso e i casi come i suoi, ma come può immaginare non è arrivata risposta, né da lei né dai suoi medici).

Le due uniche terapie attualmente utilizzate per curare questa malattia sono quella “sostitutiva con inibitore dell’alfa-1-proteinasi umano” consistente in un farmaco che si somministra tramite infusione endovenosa con una frequenza media di una volta a settimana e il trapianto polmonare, nei casi di estrema gravità con insufficienza respiratoria severa. Entrambe non necessitano di sperimentazione sugli animali-non-umani, nonostante i caratteri cubitali del cartello mostrato su Facebook dalla ragazza in ospedale.

Le illustro brevemente il perché.

Una terapia sostitutiva è, come dice la parola stessa, un’alternativa quando non è possibile un approccio chirurgico o farmacologico diretto (ovvero, sostituire nell’organismo qualcosa che non si produce abbastanza spontaneamente). Un palliativo, insomma. L’inibitore umano dell’alfa-1-proteinasi è una sostanza in grado di ridurre o bloccare una proteasi (un enzima che facilita la rottura di un legame peptidico tra amminoacidi in una proteina specifica) e in questo caso sostituisce, appunto, l’enzima di cui il malato è carente. Questa molecola è anche nota in biologia come “inibitore della tripsina sierica”.

Ora, sig. Antonio, lasci perdere tutti gli altri nomi complicati e presti attenzione all’ultimo aggettivo: “serica”. Cioè presente nel siero umano. Questo vuol dire che l’aberrazione genetica che causa la carenza di antitripsina si diagnostica con un semplice prelievo di sangue. La cura è stata sperimentata su campioni di sangue umano e la terapia prevede la somministrazione di un semplice inibitore sostitutivo ottenuto da donatori umani di sangue direttamente ai pazienti affetti (che tra l’altro sono le uniche e le più efficaci “cavie” delle sperimentazioni visto che tale malattia non colpisce “naturalmente” alcun animale-non-umano, ma si trasmette principalmente nelle popolazioni nordeuropee).

Il secondo approccio, il trapianto polmonare, è stato sperimentato secoli addietro da chirurghi e anatomopatologi su cadaveri umani ed è oramai talmente consolidato che non necessita più di alcuna validazione. Si tratta di un approccio “fisico-meccanico” che prevede l’asportazione e la sostituzione dei polmoni. Come nel caso della ricerca sul cancro la terapia chirurgica è ancora, dopo aver tentato radio- o chemioterapia, l’unica soluzione, nonostante da oltre 50 anni si conducano inutili e dispendiose ricerche sugli animali-non-umani per malattie specie-specifiche che affliggono la nostra specie attraverso meccanismi fisiologici e biochimici che solo noi uomini condividiamo.

Converrà, quindi, che per quanto clamore sia sorto intorno al caso di questa ragazza, né lei né coloro che hanno sostenuto la sua strumentale battaglia hanno davvero un’idea chiara su ciò che stanno difendendo.

Non posso negare, per onestà intellettuale, che molti dei progressi realizzati nel campo biomedico siano stati possibili e velocizzati dagli esperimenti condotti sugli animali-non-umani. Non posso non ricordare che altrettanti e ben più definitivi risultati sono stati, e vengono tuttora, ottenuti su cavie umane (ebrei durante il nazismo, prigionieri, poveri senza alternative, abitanti del “Terzo mondo”, etc.).

Allo stesso tempo, però, non possiamo sapere quanti maggiori progressi biomedici si sarebbero ottenuti se i finanziamenti e le ricerche fossero stati indirizzati verso gli studi specie-specifici, verso lo sviluppo di metodologie alternative in vitro, di sintesi o su modelli (come nel caso dell’eparina) o con test su pazienti umani affetti “naturalmente” dalle malattie che si cerca di curare e non su animali diversi dall’uomo in cui si induce una patologia a loro biologicamente estranea.

Infine, non posso accettare – e su questo credo sarà d’accordo con me, come lo sono le migliaia di malati che nonostante ciò si dichiarano contrari al prosieguo della sperimentazione animale per cercare una cura alle loro malattie (veda, tra tutti, la dott.ssa Linda Guerra) – che vi sia una scienza che prescinda dall’etica, perché questo vuol dire accettare qualunque uso e abuso sui più deboli, sugli indifesi. Vuol dire definire una scala d’importanza. Porre su un piano diverso la vita. Sia essa di un animale da laboratorio messo al mondo per essere ucciso affinché vanamente si cerca di salvarne un’altra. Sia essa di un pover’uomo che per discriminazione o per necessità si trova a esser cavia sana nella ricerca di cure per l’altra vita di un malato. Oggigiorno non possiamo più accettare che le cose vadano così. Non possiamo barattare il diritto alla vita. Di nessuno.

Se la scienza della sperimentazione sugli animali e i suoi ignoranti e accaniti difensori continua a esistere è solo perché il sistema ne trae profitto. I ricercatori fanno carriera più in fretta e pubblicano più facilmente i loro lavori, gli studenti universitari sono tacitamente disincentivati a obiettare e l’industria farmaceutica e gli allevamenti di cavie guadagnano soldi a palate.

Chi ci rimette in questo sistema di orbi ingranaggi, che non può curare nessuno proprio perché anch’esso malato, non è solo il topo strappato alle cure materne, prigioniero in una vaschetta, a cui sta sorgendo un tumore indotto a pochi giorni di vita. A rimetterci sono anche i malati umani che s’illudono e si convincono che da questo metodo superato e immorale possa nascere qualche speranza di cura.

A rimetterci siamo tutti noi che, direttamente o indirettamente, finanziamo un sistema che si autoalimenta e produce mostri geneticamente modificati (ricercatori, non animali e piante) al punto da non sapere più quale ricerca e per chi la stanno conducendo. L’importante è far credere e convincersi che serva. Il resto sono soldi e vite sprecate!

Con la speranza di averle mostrato qualcosa per quanto di mia competenza e con l’umile consapevolezza di poter esser contraddetto da chi non crede che le cose vadano davvero così (ma spero sulla base di fatti e non di ingiurie o banalità), auguro a lei e a tutti coloro che necessitano di assistenza medica per il proprio benessere di trovare speranza nel progresso di un nuovo metodo che aiuti la vita piuttosto che generare la morte,

la saluto cordialmente,

dott. Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D., Biologo”.

8 pensieri su “Avrei ottenuto lo stesso risultato con cure NON sperimentate sugli animali?

  1. Lei scrive “Non posso negare, per onestà intellettuale, che molti dei progressi realizzati nel campo biomedico siano stati possibili e velocizzati dagli esperimenti condotti sugli animali-non-umani. Non posso non ricordare che altrettanti e ben più definitivi risultati sono stati, e vengono tuttora, ottenuti su cavie umane (ebrei durante il nazismo, prigionieri, poveri senza alternative, abitanti del “Terzo mondo”, etc.).”. Peccato che non sia vero; a.e. è piuttosto noto che gli studi condotti dai nazisti non condussero ad alcun risultato utile, per una serie di fattori (scarsa affidabilità di “sperimentazioni” condotte su di una popolazione eterogenea e debilitata, pregiudizi dei “ricercatori” coinvolti, quasi sempre mezze tacche con bislacche teorie, ecc, ecc, ecc,). in difetto: mi faccia la cortesia di indicarmi una scoperta validata fatta dagli scienziati nazisti nei campi che abbia condotto ad un progresso in campo bomedico.
    Immagino che lei sia una persona molto competente nel suo campo (biodiversità) ma forse le è sfuggito che ciò non implica che sia competente anche nel (diverso) campo (ricerca medica) su cui pretende di dare un giudizio in contrasto con la quasi titotalità dei suoi colleghi di quel ramo specifico, incluso il vincitore del Nobel 2014 per la medicina, John O’Keefe.

  2. Mi spiace ma se pensa questo le sue fonti sono davvero carenti. Concordo che non tutti gli esperimenti dei nazisti furono scientificamente corretti e infatti alcuni di essi sono stati ignorati, ma molti (tra cui quelli riguardanti i trapianti di muscoli, ossa e nervi; il congelamento; la malaria; i veleni e l’altitudine) hanno vergognosamente consentito progressi nei rispettivi campi (http://en.wikipedia.org/wiki/Nazi_human_experimentation). Inoltre, vi sono decine di esempi di esperimenti condotti nei campi di concentramento che vengono tuttora utilizzati da scienziati come riferimenti bibliografici o dati nei propri studi. Con questo errata confutazione, inoltre, lei non fa che dimostrare la mia tesi: gli esperimenti sono stati condotti, eccome, su coloro che un tempo erano ritenuti alla stregua degli attuali animali da laboratorio: inutili, privi di diritti, inferiori, sacrificabili!
    Mi spiace che lei non ne sia (o faccia finta di non esserne) a conoscenza:

    “Nazi hypothermia studies, for instance, have been cited in the medical literature for decades, and recently several scientists have sought to use the data in their own work”.

    Gliene cito solo qualcuno e la invito ad astenersi dal giudicare le competenze altrui poiché, innanzitutto (lei chi è?), e pur essendo specializzato in ecologia e diversità biologica, sono pur sempre un biologo e collaboro da anni con policlinici e centri di ricerca per studi in biomedicina e chirurgia e, in secondo luogo, non sempre il pensiero della maggioranza dei colleghi è mosso da reali ragioni scientifiche o bioetiche; spesso il portafoglio e il comodo conformismo prevalgono quando a farne le spese sono le vite degli altri.
    Buona lettura:

    http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1365-2044.2004.04034.x/full

    http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJM199005173222006

    http://books.google.com/books?id=OHLMwBC–sgC&lpg=PA31&ots=maU9Nn79lE&dq=citations%2520of%2520shame%2520dixon%2520new%2520scientist&pg=PA31%23v=onepage&q&f=false

    http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Holocaust/nazi_experiments.html

    http://remember.org/educate/medexp.html

    E sull’etica di questi che oggigiorno dovrebbe essere estesa anche agli animali da laboratorio legga qui:

    Annas, George J. and Michael A. Grodin, editors. The Nazi Doctors and the Nuremberg Code: Human Rights in Human Experimentation. New York: Oxford University Press, 1992.

    Berger, Robert L., M.D. “Nazi Science: The Dachau Hypothermia Experiments.” New England Journal of Medicine, Vol. 322 No. 20, 5/17/90, pp. 1435-1440.

    Caplan, Arthur L., editor. When Medicine Went Mad: Bioethics and the Holocaust. Totowa, N.J.: Humana Press, 1992.

    Cohen, Baruch C. “The Ethics of Using Medical Data From Nazi Experiments.” See http://www.jlaw.com/Articles/NaziMedEx.html.

    Gilbert, Martin. The Holocaust: The Jewish Tragedy. London: Collins, 1986.

    Lifton, Robert Jay. The Nazi Doctors: Medical Killing and the Psychology of Genocide. New York: Basic Books, 1986.

    McNeill, Paul M. The Ethics and Politics of Human Experimentation. New York: Cambridge University Press, 1993.

    Moe, Kristine. “Should the Nazi Research Data Be Cited?” Hastings Center Report, Vol. 14 No. 6, December 1984, pp. 5-7.

    Siegel, Barry. “Can Evil Beget Good? Nazi Data: A Dilemma for Science.” Los Angeles Times, 10/30/88, p. 1.

  3. Inoltre, è notizia recentissima (e vale anche come risposta al veterinario che difende la sperimentazione sugli animali commentando il precedente articolo e a coloro che vedono nelle biotecnologie una manna dal cielo):

    Abbattute le super-mucche “create” dai nazisti: erano troppo aggressive

    Avevano tentato più volte di uccidere i loro allevatori: così le super mucche “naziste” del Devon, Inghilterra occidentale, sono state macellate. Tramonta il discutibile sogno dell’allevatore britannico Derek Gow di cercare di riportare a pascolare la razza cosiddetta “Heck” creata da due zoologi della Germania hitleriana che sognavano di far rivivere gli animali selvatici protagonisti della mitologia ariana.

    Gow è stato costretto ad abbattere sette dei 13 dei suoi esemplari per la loro intrattabilità. «Sono di sicuro gli animali più aggressivi con cui abbia mai avuto a che fare», ha detto l’allevatore. Le imponenti mucche dalle lunghe corna arcuate e dall’ispido manto color ruggine, devono la loro “resurrezione” a due fratelli, Lutz e Heinz Heck, che all’epoca del Terzo Reich setacciarono l’Europa alle ricerca delle razze bovine più primitive e le incrociarono tra loro nella speranza di ottenere il loro comune antenato: l’uro, il cui ultimo esemplare – si narra – morì in una foresta polacca nel 1627.

    da http://www.ilmessaggero.it/SOCIETA/NOLIMITS/abbattute_mucche_create_nazisti_troppo_aggressive/notizie/1103832.shtml

  4. So benissimo che le ricerche ci sono state e che gli esperimenti sono stati condotti, è un fatto storico; contesto solo che lei asserisca che quelle ricerche siano arrivate ad “altrettanti e ben definitivi risultati” rispetto alle ricerche effettuate utilizzando la sperimentazione animale (e se legge bene l’articolo di wikipedia che lei stesso linka infatti vedrà che l’unico campo in cui si è avuto qualche risultato utile è stato quello dei congelamenti; ben poca cosa). lnfine il fatto che siano citate in altri studi non è necessariamente indice del fatto che siano “scoperte” (a.,e. le ricerche di Mengele sui gemelli sono molto citate, ma come esempio di approccio “non scientifico” viziato da bias).

    P.S. lo dice lei ad O’Keefe che è un conformista mosso solo da interessi di portafoglio?

  5. Caro Roberto, vorrei segnalarti, sperando di essere utile, l’esistenza di anticoagulanti derivati dalle piante, tra le quali il salice, dalla radice del quale si estrae acido acetilsalicilico, alla base dell’aspirina, oppure il ginkgo biloba, del quale mi avvalgo felicemente per fluidificare il mio sangue, essendo alterato il mio gene della protrombina. I medici “ufficiali” non sanno nulla dell’effetto di queste come di molte altre piante, ne ho avuto la prova quando dovetti subire un’operazione e, come sai, prima degli interventi bisogna sospendere gli anticoagulanti. Alla luce del fatto che dal mondo vegetale possiamo trarre tutto ciò che ci serve, e che praticamente tutti i farmaci sintetizzati chimicamente derivano dalle piante, mi sono sempre chiesta il motivo di tanto olocausto animale per estrarre l’eparina (visto che di questa si tratta nel tuo articolo)… Riguardo alla vivisperimentazione animale, non è mai stata utile a nulla e ciò è testimoniato da grandi nomi della scienza, della medicina e della ricerca i quali, una volta espresse le loro opinioni, sono stati fatti diventare piccoli, chissà perché… Un carissimo saluto e grazie.

  6. QUANTO E’ PREDITTIVA E QUANTO E’ PRODUTTIVA LA SPERIMENTAZIONE SUGLI ANIMALI?

    RISPONDE L’EDITOR DEL BRITISH MEDICAL JOURNAL.

    Peer review Fiona Godlee, editor in chief, The BMJ, Descrive lavori di scenziati che hanno analizzato e studiato la sperimentazione animale. Ricorda la pubblicazione di Ioannidis nel 2012, che dice che sui risultati che si ottengono con la s.a. è “quasi impossibile” basarsi su dati ottenuti sulla sperimentazione animale per predire se un qualcosa abbia un qualsiasi intervento esterno (farmaco o altro) possa avere o no un effetto clinico positivo in base al rapporto rischio-beneficio in soggetti umani.

    Questo spreco non è etico sia per la ricerca che usa animali, sia per quella che usa gli umani.

    La qualità scadente degli studi preclinici (sugli animali) può portare costosi ma infruttuosi trial clinici esponendo i partecipanti a rischi per gli effetti collaterali di pericolosi farmaci. E naturalmente, specifica l’editore del British Medical Journal (n.d.r. quasi la più importante rivista scientifica britannica) c’è l’inutile sofferenza degli animali coinvolti nella ricerca che porta nessun beneficio.

    Conclude poi dicendo che anche se la ricerca venisse condotta in modo impeccabile (n.d.r. cosa che non è visto gli studi sempre maggiori che dimostrano come invece venga effettuata in maniera approssimata e poco rigorosa senza registrare tutte le variabili e tutti i dati ottenuti), ribadiscono gli autori, la nostra abilità di predirre le risposte umane dai modelli animali sarebbe limitata da differenze di specie nei pathway molecolari e metabolici.

    Insomma, appare chiaro ormai, anche ad un editore di una rivista prestigiosa come il BMJ, il cui lavoro è proprio approvare la pubblicazione di articoli scientifici e di ricerca di alta qualità, che la strada per una ricerca ed una medicina utile per gli esseri umani sono Le Alternative Sostitutive e i Trial Clinici effettuati correttamente e in maniera sicura per le persone coinvolte, nonché una Ricerca Pre-clinica basata su metodi in vitro di standard elevato e basati su cellule e tessuti umani e che usare gli animali deve essere definitivamente abbandonato per dare spazio alla Vera Ricerca.

    http://www.bmj.com/content/348/bmj.g3719

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