Gli insetti ci insegnano a cooperare

Come l’evoluzione premia i comportamenti altruistici

La maggior parte dei documentari naturalistici hanno mostrato per anni al grande pubblico la “lotta per la vita”. Scene cruente di predatori assetati di sangue, di combattimenti tra individui della stessa specie che si feriscono, di leoni che divorano cuccioli di altri maschi, di insetti parassiti che infettano il cervello di altri invertebrati, etc. Questa narrazione è stata, e lo è ancora in molti casi, lo specchio del credo scientifico su ciò che sembra alimentare l’evoluzione darwiniana. La maggior parte dei biologi evoluzionisti e degli ecologi hanno sempre dedicato molta più attenzione alla competizione tra specie rispetto alla cooperazione. Per averne una conferma immediata, basta contare quante pagine dedicano agli aspetti competitivi rispetto a quelli mutualistici i principali testi universitari di ecologia ed evoluzione. Eppure, questa visione vittoriana, ispirata e giustificata dal comportamento di concorrenza tra esseri umani, nazioni e colonie, in tempi recenti è stata messa in discussione da un gran numero di evidenze empiriche e da svariati approcci teorici. Appare inconfutabile che i gruppi di individui che collaborano di più tra loro e con le altre specie sono tra quelli più di successo e diffusi sul nostro pianeta. Tra questi, senza dubbio, ci sono gli insetti sociali come formiche, vespe, termiti e api che, insieme alle comunità umane più cooperative, offrono una prova schiacciante che la competizione potrebbe non essere il più importante fattore di selezione naturale.

Per molti secoli la natura è stata ritenuta una crudele e insensibile arena dove “il pesce più grande mangia il pesce più piccolo” così da giustificare i più brutali soprusi della nostra specie su esseri umani e altre specie. Di recente, però, questo assunto è stato contestato dalla comprensione che l’altruismo può essere più vantaggioso della competizione nella vita di un individuo e portare all’evoluzione a lungo termine della cooperazione. Invece di lottare continuamente, sprecando energia e tempo, e rischiando la propria vita, gli individui di alcune specie sembrano tendere nel tempo a stabilire relazioni mutualistiche, cercando ogni mezzo per evitare la competizione. Ciò che la BBC o il National Geographic, con la consulenza di biologi e naturalisti “neo-darwiniani”, hanno fatto passare per brutale lotta per la sopravvivenza, mostrando immagini di incornate tra cervi, morsi tra elefanti marini sanguinanti e lotte tra leoni, in realtà, non è una rappresentazione del tutto corretta di questi comportamenti. Osservando e studiando con più attenzione l’ecologia comportamentale di queste specie, appare chiaro che i cervi abbiano evoluto crani resistenti e corna lunghe e ramificate per sopportare senza gravi danni i loro scontri ritualizzati nelle arene di riproduzione (dette lek in inglese), che gli elefanti marini abbiano evoluto un collo particolarmente ricco di strati di grasso proprio per non subire ferite mortali dalle dentate con rincorsa degli altri individui, che i maschi dei leoni abbiano evoluto criniere folte e spesse che proteggono il collo dai morsi durante i rituali per stabilire la gerarchia di accoppiamento. Tutti questi processi evolutivi si affermano non per “servire” la competizione, ma per evitarla il più possibile. Sarebbe, quindi, l’evitamento della competizione il motore principale dell’evoluzione biologica, sino a giungere – in molti casi – a veri e propri comportamenti mutualistici come le simbiosi (relazioni di reciproco altruismo tra individui), le endosimbiosi (relazioni tra due specie unite all’interno dello stesso organismo) e le endogenosimbiosi (integrazione del materiale genetico di due specie all’interno dei processi metabolici e riproduttivi di un unico organismo).

Non va comunque dimenticato che la cooperazione può essere stabile e prosperare, ma può essere minata da alcuni individui con comportamenti egoistici ed è per questo che i benefici dell’altruismo rimangono una questione controversa per molti biologi evoluzionisti, come il ben noto Richard Dawkins, perché questi ritengono che essere egoisti sia una caratteristica intrinseca dei nostri geni e la maggior parte volte è la competizione sia scelta migliore nelle situazioni sociali. Secondo questo approccio, l’evoluzione favorirebbe gli individui egoisti che aumentano le loro chances di sopravvivenza e la loro prole.

Nell’ultimo mezzo secolo sono state, però, condotte numerose ricerche sui meccanismi che possono consentire alla cooperazione di evolvere “in un mondo di disertori”. Un punto di vista interessante fu proposto nel 1964 da William D. Hamilton attraverso la “selezione dei parentela” (kin selection), che può essere vantaggiosa sia per il “donatore” sia per il “destinatario” di un atto altruistico se questi sono abbastanza imparentati tra loro (ovvero, per quanto un comportamento sia costoso da eseguire, avvantaggiando un altro individuo abbastanza imparentato della stessa specie, offre un beneficio evolutivo a chi lo compie). Ad esempio, due fratelli avrebbero più interesse a collaborare rispetto a due estranei perché condividono una percentuale più alta (circa il 50% in più) dei loro geni. Successivamente, sulla base del ragionamento di Hamilton, in termini di costo sostenuto dai donatori e benefici ricevuti dai conspecifici, sono state suggerite altre quattro regole principali per l’evoluzione della cooperazione. Il problema principale del comportamento altruistico in Natura è come trarre vantaggio dalla cooperazione senza passare attraverso numerose fasi con tentativi ed errori, che sono spesso lente, sfiancanti e aumentano anche i costi in termini di investimento di tempo ed energia nelle relazioni. Infatti, anche se le condizioni per la cooperazione sono convenienti a lungo termine, gli individui potrebbero non avere tempo sufficiente per esplorare tutte le strategie per ottenere una ricompensa sufficiente dal loro altruismo. Nel libro “L’evoluzione della cooperazione” del 1984, Robert Axerold sottolineò che “se comprendessimo meglio il processo potremmo usare la nostra lungimiranza per accelerare l’evoluzione della cooperazione”. Recentemente ho sviluppato un modello, con un algoritmo basato sulle teorie delle scienze delle decisioni (chiamato “Modello del bandito a molte braccia” – o multi-armed bandit in inglese – che richiama il funzionamento delle slot-machine), che sembrerebbe essere naturalmente impiegato dagli individui per effettuare la scelta migliore, nella maggioranza dei casi, seguendo le cinque delle regole per l’altruismo, accelerando l’evoluzione della cooperazione e risolvendo i problemi di stima dei costi e benefici di ciascuna scelta (il modello è stato pubblicato nel paper scientifico Cazzolla Gatti R., 2020. A multi-armed bandit algorithm speeds up the evolution of cooperation, Ecological Modelling, 109348, 439 https://doi.org/10.1016/j.ecolmodel.2020.109348). Mediante questo modello è possibile comprendere che la cooperazione evolve come un processo multistrato: orizzontalmente (attraverso un approccio di conoscenza o learning dell’altro) e verticalmente (esplorando gerarchicamente le cinque regole con cui è possibile trarre beneficio dall’altruismo).

È interessante notare che, in uno scenario evolutivo di cooperazione basato su questo modello di “bandito a molte braccia”, la cooperazione tramite aplodiploidia risulta avere una delle più alte probabilità di evolversi in Natura. L’apodiploidia è il sistema di determinazione del sesso degli imenotteri e di altri invertebrati, in cui i maschi si sviluppano da uova non fecondate e sono aploidi (ereditano un unico patrimonio genetico), mentre le femmine si sviluppano da uova fecondate e sono diploidi (ereditano due patrimoni genetici da parte materna e paterna). Pertanto, gli insetti con un coefficiente di parentela (r) di 0,75 – che è tipico, ad esempio, delle api operaie sorelle in un alveare – hanno una probabilità di evolvere una cooperazione almeno dell’87,5% (rimando allo studio originale https://doi.org/10.1016/j.ecolmodel.2020.109348 per il dettaglio sui calcoli) e una probabilità di evolvere comportamenti competitivi al massimo del 12,5%. Tuttavia, mentre le femmine aplodiploidi sono più strettamente imparentate con le loro sorelle che con la loro prole (per cui non hanno grande interesse alla riproduzione e preferiscono servire la loro regina cooperando con le sorelle), condividerebbero più geni con i loro figli che con i loro fratelli (con cui hanno un r di 0,25), che rende “antieconomico” (anti-evolutivo, sarebbe meglio dire) prendersi cura di loro. Alcune ricerche suggeriscono che l’onere evolutivo di allevare fratelli di “basso valore” annullerebbe, quindi, i vantaggi di allevare sorelle di “alto valore”. Tuttavia, l’algoritmo da me proposto (noto come epsilon-greedy) risolve questo problema già al primo livello (quello della selezione di parentela) perché quando r = 0,25, la probabilità di evoluzione della cooperazione è ancora almeno del 65% e quella di evoluzione della competizione è al massimo del 25%. Pertanto, per api e altri insetti sociali, vale comunque la pena cooperare anche con i fratelli, nonostante condividano meno geni, all’interno dell’alveare o di un gruppo sociale.

In ogni caso, oltre alla selezione di parentela, anche le altre 4 regole per l’evoluzione della cooperazione vengono in aiuto degli insetti sociali (e delle altre specie) e ci permettono di comprendere meglio come funzioni l’altruismo in Natura. Ad esempio, qualora non ci fosse una parentela molto alta come quella tra gli insetti sociali, se la probabilità di una successiva interazione [w] tra due di individui appartenenti a uno stesso gruppo è estremamente alta, questo renderebbe comunque vantaggioso cooperare per reciprocità indiretta (sono altruista con te perché tu lo sei stato con me). Persino se si mettesse in discussione la presenza di una “teoria della mente” in grado di giustificare questo comportamento in alcune specie (come tra gli insetti di cui non si ha prova evidente dell’esistenza della reciprocità diretta), sono state suggerite selezioni di rete e di gruppo grazie alle quali la cooperazione può evolve con una probabilità superiore al 70%.

Queste nuove evidenze portate dalla biologia teorica sono state ulteriormente rafforzate dalle scoperte recenti riguardanti alcuni insetti imenotteri, con caste morfologicamente specializzate, per i quali due delle caratteristiche comuni all’eusocialità (ovvero la limitazione dei tassi di natalità e la dimensione del gruppo) determinano in modo significativo se la cooperazione può evolvere. Ciò significa che, oltre alla selezione di parentela e alla reciprocità diretta, l’evoluzione della socialità è fortemente dipendente dal numero di vicini con cui si trascorre la vita e dalla dimensione del gruppo di appartenenza. Ovvero, quel social network di cui tutti eravamo parte nei villaggi primordiali prima, nei borghi e nei quartieri poi, e in cui ora siamo immersi virtualmente grazie (o malgrado) internet, esiste da tempo immemore nell’evoluzione e dovrebbe aumentare il nostro altruismo seguendo 5 semplici regolo, sebbene non sempre sia così. Un aspetto su cui riflettere se vogliamo continuare a ritenere la nostra specie una tra quelle di maggior successo sul pianeta Terra.

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D.

Biologo ambientale ed evolutivo

Professore Associato, Biological Institute, Tomsk State University, Russia

Research Fellow, Konrad Lorenz Institute for Evolution and Cognition Research, Austria

*Pubblicato sul N. 92 Anno XXIII – Dicembre 2020 di Villaggio Globale – Trimestrale di Ecologia

Un pensiero su “Gli insetti ci insegnano a cooperare

  1. E’ vero e come dici tu le api ne sono l’esempio perfetto ma citerei anche le formiche. Tutti loro cooperano per un obiettivo comune atto a soddisfare istinti primari.

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