Non crediamo in Altroconsumo!

Il bio fa bene per una semplice ragione: non è contaminato!

La voglia di scoop annebbia la mente di chi dovrebbe informare i “consumatori” e distorce i messaggi che vengono forniti su importanti testate nazionali. Questa volta è la nota rivista “Altroconsumo” a spararla grossa e a titolare la copertina del numero 295 di settembre 2015 con un altisonante “Non crediamo in Bio”. Un ennesimo attacco al biologico privo di alcun
fondamento e riscontro scientifico, nonostante la rivista assicuri di aver direttamente provveduto a far analizzare alcuni campioni prelevati in negozi e mercati di Roma e Milano. Ancora un attacco a un’intera categoria di produttori che con grande sacrificio hanno scelto di coltivare in maniera rispettosa dell’ambiente e della salute umana. Un vergognoso allarme lanciato seguendo la più bieca abitudine giornalistica del ricercare lo scoop a tutti i costi e fornendo al lettore informazioni distorte e pericolose.

altroconsumo-edition-295Non serve nemmeno citare la letteratura scientifica in merito, ma basta analizzare i dati pubblicati nell’articolo della rivista per comprendere quanto i titoli allarmistici e i ripetuti moniti a non fidarsi del biologico riportati nel testo siano del tutto privi di fondamento.

Innanzitutto è importante, ancora una volta, chiarire che biologico non è sinonimo di più nutriente. Biologico è sinonimo di più salutare. Solo una redazione alla ricerca del sensazionalismo può fingere di non conoscere questa differenza e ribadire continuamente che “La frutta e la verdura biologiche in commercio non sono più ricche di nutrienti di quelle tradizionali”. E come potrebbe un vegetale biologico aumentare il quantitativo di sali minerali e vitamene rispetto a uno tradizionale, se queste caratteristiche sono dipendenti dalla fisiologia della pianta dovuta al suo patrimonio genetico, sul quale fortunatamente le tecniche di agricoltura biologica non intervengono? Un pomodoro, ad esempio, sia coltivato in maniera bio sia tradizionalmente con diserbanti, pesticidi, fertilizzanti chimici, etc. non può incrementare  il quantitativo di potassio, vitamina C o rame perché la biochimica del pomodoro è sempre la stessa, a prescindere dal tipo di coltivazione.

Non ha senso, quindi, sentenziare che il bio non possieda più nutrienti del tradizionale perché trattasi di un’ovvietà che solo una profonda ignoranza della biologia vegetale può non rilevare. Ciò che, invece, è molto differente tra le due modalità di coltura è la contaminazione del vegetale stesso e dell’ambiente in cui questo viene coltivato.

Chiariamo ancora: è del tutto falso che il biologico non sia più salutare del tradizionale come affermato nell’articolo di Altroconsumo. È del tutto irresponsabile!

A dimostrarlo non sono solo centinaia di studi, ma gli stessi dati forniti dalla rivista nel suo pezzo.

I giornalisti, che “dovrebbero tutelare i consumatori”, ci informano di aver portato “in laboratorio circa cento campioni di frutta e verdura, acquistatati in una ventina di punti vendita tra Milano e Roma”, ma quando poi devono descrivere i risultati di queste analisi riportano solo ciò che gli fa comodo per dare un senso al titolone di copertina.

Scrivono infatti, come ci si poteva attendere, che “sotto il profilo della composizione nutrizionale tra ortofrutta tradizionale e quella bio non ci sono praticamente differenze di sorta, né per il contenuto di vitamine e antiossidanti né per quello di sali minerali”. E questa è l’ovvietà di cui ho già scritto sopra, che potrebbe essere evitata – per non confondere ancor di più i lettori – semplicemente informandosi sul perché sia banale non riscontrare più nutrienti in un alimento biologico.

Quando, però, arriva il momento di valutare la salubrità dei loro campioni, i giornalisti di Altroconsumo tentano di tirar acqua al proprio mulino, ma non si accorgono di quanto questa si già stata contaminata dai fitofarmaci. Scrivono, infatti: “Anche sui pesticidi le nostre analisi non lesinano sorprese. È vero che confermano che nei prodotti convenzionali c’è una maggior presenza di residui di fitofarmaci. Ma — udite udite — le concentrazioni rilevate risultano di gran lunga inferiori, fino a cento volte!, ai limiti di legge (che sono già di per sé cautelativi per la salute). Con due eccezioni, entrambe riguardanti campioni di fragole non bio acquistate a Roma (presso Super Elite e Conad), che sono risultati fuorilegge. […] Al contrario tutte le fragole bio sono risultate “pulite”, se non fosse per la presenza inaspettata di tracce di un pesticida in un campione acquistato a Roma, nella catena Natura Sì. Questa volta però i residui del fitofarmaco (Pymetrozine) sono risultati entro il limite massimo di tolleranza ammesso”.

Ecco, quindi, che la verità viene a galla: i prodotti bio non contengono pesticidi al contrario di quelli tradizionali. E non deve rassicurare il fatto che questi ultimi ne contengano in quantità inferiore ai limiti di legge, perché i limiti dipendono molto più dalla coscienza socio-politica del momento che dalle evidenze scientifiche. Infatti, uno dei problemi principali del consumo di frutta e verdura (e anche carne, ma di questo Altroconsumo ha evitato di parlare, forse perché consapevole di non aver alcuno scoop da sfoggiare in merito) prodotti tradizionalmente con diserbanti, concimi chimici e pesticidi è dovuto al bioaccumulo: se è vero che il singolo pomodoro contiene una quantità nei limiti di legge di sostanze tossiche e quindi risulta poco dannoso per la salute è vero, altresì, che il consumo per molti anni e in concomitanza con molti altri alimenti contaminati, di prodotti non biologici, aumenta notevolmente l’accumulo di sostanze che il nostro organismo non riesce a detossificare e trasforma in potenti cancerogeni e mutageni. In altre parole, così come non è la singola sigaretta ad uccidere ma il quantitativo e la durata del vizio, così non sarà il singolo pomodoro tradizionale ad aumentare il rischio di patologie, ma il consumo concomitante con altri alimenti, seppur lievemente ma pur sempre contaminati, e l’accumulo nel tempo. Nel caso della carne, oltre al bioaccumulo interviene un processo noto come biomagnificazione, ovvero il passaggio nel nostro corpo di tutti i pesticidi di cui l’animale si è alimentato durante la sua vita prima di finire nel nostro piatto, trasferendoci così una bella dose concentrata di veleni.

La rivista ha analizzato quatto colture: mele, fragole, carote e pomodori e “contato” il numero di residui di pesticidi diversi presenti nei campioni bio e in quelli tradizionali. Tutti i campioni biologici,  a parte uno di fragole e sette di pomodorini che ne contenevano uno soltanto, non contenevano residui di pesticidi di alcun tipo. Invece, tutti i campioni delle quattro colture tradizionali, ad esclusione di due di pomodorini e otto di carote, contenevano un quantitativo di pesticidi che oscillava tra 2 e 5 (con una media intorno a 3)!  Ad esempio, nessuna delle mele tradizionali analizzate era priva di pesticidi, anzi ne conteneva da 3 a 5, al contrario di quelle bio, le quali erano tutte prive di pesticidi.

Ora, essendo la matematica e la statistica scienze esatte e riscontrando che su 51 campioni di frutta e verdura biologici solo 8 – ovvero il 16% – (di cui 7 erano pomodorini) mostravano una contaminazione dovuta a 1 pesticida, mentre su 48 campioni coltivati tradizionalmente ben 36 – ovvero il 75% – erano contaminati da una media di circa 3 pesticidi (con massimi di 5), invitare gli “altro-consumatori” a non credere al bio è davvero ridicolo.

Se un qualunque ricercatore avesse prodotto uno studio del genere, ottenuto simili risultati e l’avesse proposto per la pubblicazione su una rivista scientifica seria, titolandolo in quel modo e concludendo che “le analisi suggeriscono che non vi siano differenze significative tra i campioni biologici e quelli tradizionali analizzati”, i revisori e l’editore della rivista avrebbero invitato gli autori della ricerca ad appendere il camice al chiodo e a darsi alla finanza (cosa di cui, per altro, Altroconsumo già si occupa. Forse dovrebbe fare solo questo visto che sul versante scientifico han sì dato i numeri, ma quelli sbagliati?).

Sarà che il biologico non contiene più zinco, vitamine o potassio del tradizionale, ma è certo che nonostante i fuorvianti attacchi (effettuati con le stesse meschine modalità di quelli in difesa dell’olio di palma), come la stessa rivista ammette, “il contenuto di antiossidanti è maggiore nei vegetali bio” e che, come l’analisi scientifica seria dei dati ci ha portato a concludere, “vi sono differenze significative* tra i campioni biologici e quelli tradizionali analizzati relativamente al contenuto in dose e frequenza di pesticidi”.

Se poi informare un “altro-consumatore” significa fornire “altri-risultati” rispetto a quelli reali, basta precisarlo in copertina.

*Per testare la significatività nella differenza tra le due tipologie di campioni ho calcolato un test statistico rigoroso noto come Test di Kolomogorov-Smirnov per due campioni di differenti dimensioni. La probabilità che le differenze riscontrate nei risultati fossero dovute al caso è inferiore al 99% (ovvero, per chi mastica statistica, D=0.74, g.d.l.=48,51, valore critico=0,33 a P<0.01). Questo significa che le differenze nel quantitativo di pesticidi riscontrate tra biologico e tradizionale sono statisticamente molto significative (P<0.01).

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D.

Biologo ambientale ed evolutivo

Associate professor, Tomsk State University, Russia

Pubblicato su Villaggio Globale del 19/09/2015

6 pensieri su “Non crediamo in Altroconsumo!

  1. Sono preoccupatissima per lo Staff di “Altroconsumo”: la mia famiglia è abbonata da anni, da quando cioè nasceva come gruppo combattivo ed incorruttibile, a favore del consumatore troppo spesso ignaro, male informato o addirittura raggirato.
    Ultimamente invece, sempre con maggior frequenza, noto dei ruzzoloni incredibili.
    Mi chiedo se tutti gli additivi dannosi (diserbanti, fitofarmaci, fertilizzanti,ecc) provenienti da cibo NON bio, probabilmente assunto dalla Redazione a causa della “BIO-FOBIA” espressa nell’articolo originale, possa dare come sintomatologia perdita di equilibrio , di obiettività, di coerenza, di trasparenza, annichilimento e facilità di manipolazione.
    Mi auguro vivamente che lo Staff guarisca e torni all’origine, per esempio denunciando ai NAS le fragole (non bio), fuorilegge e pericolose , della “Super Elite” e “Conad romane”(citate a pagina 18).
    Oppure integrando il quadretto di pagina 15 riguardante la “sostenibilità” con i dati scientifici , univoci ed incontrovertibili, dell’ INsostenibilità ambientale degli allevamenti intensivi.
    Oppure denunciando, qualora esista, chi avrebbe mai detto che ci si debba nutrire per sempre di centrifugati (dossier di pagina 21 del medesimo “ruzzolo-numero”).
    Purtroppo il Bio costa molto ma pur di far guarire e detossificare lo Staff di Altroconsumo, che stimavo molto, sarei disposta a comprarglieli e regalarglieli personalmente (ovviamente cibi bio e centrifugati).

  2. il concetto di Bio è nobile ma nella pratica risulta spesso vuoto e fasullo; i produttori bio ci sono, fanno un lavoro difficile e che necessita impegno ma di disonesti che cavalcano l’onda ce ne sono a bizzeffe, a cominciare soprattutto dagli enti che accreditano il bio e per i quali quello che conta è, spessissimo, il vile denaro. Esperienza diretta (sottolineo diretta) decennale: prodotti bio che non comprerei neanche all’autogrill. La via migliore è il km zero: prodotti soprattutto locale con nome, cognome e soprattutto la faccia di chi li produce. Nella mia zona (Valle d’Aosta) ci sono molti produttori che senza essere per forza bio producono eccellenti alimenti sia vegetali che animali; all’opposto di alcuni (pochi) che, non è dato sapere come, possono fregiarsi dell’acronimo bio. Altroconsumo fa il suo dovere, magari talora criticabile ma per fortuna c’è chi lo fa. Le analisi parlano chiaro: le fanno e ne divulgano i risultati illustrando metodiche e condizioni.
    Un punto però fondamentale riguarda la salubrità degli alimenti: con i prodotti bio, quelli veri, non abbiamo alimenti per forza più sicuri ma prodotti diversi, sicuramente migliori. Evitiamo sicuramente antiparassitari, antimicrobici, promotori di crescita e altre schifezze varie (e non è assolutamente poco) ma non otteniamo automaticamente cibi sicuri al 100%. Ricordate: ogni alimento ha i suoi pro e i suoi contro e bisogna conoscerli. A puro titolo di esempio (ma se ne potrebbero fare decine) cito il problema della tenia nelle carni suine (verme solitario) che si riteneva superato e che sta ricomparendo. Questo è legato in particolare all’allevamento bio, con i suini allevati allo stato brado in armonia (giustamente) con il loro benessere. Finalmente i maiali hanno ripreso contatto con il terreno dove grufolano, vivono in armonia con le loro esigenze etologiche e si prendono i parassiti che nell’allevamento intensivo erano scomparsi a causa dei trattamenti; conclusione: non ho dubbi nello scegliere la salsiccia di suino allevata allo stato brado ma sicuramente la cucino bene, anzi molto bene, e non mi sogno assolutamente di mangiarla cruda come spesso si fa.
    Non me la sento do parlare di Biofobia, come azzardato molto pomposamente più sopra, ma di analisi senza per forza necessità di essere accusati di lesa maestà. Il bio è migliorato ma state con gli occhi aperti, non è tutto bio quello che luccica…

  3. Gent.ssimo Emilio, concordo con la maggior parte di ciò che afferma. Da consumatrice di prodotti bio avrei gradito (come credo, dal suo commento, anche lei) un’ inchiesta per smascherare il “Bio vuoto/fasullo/disonesto” rispetto a una incomprensibile arrampicata sugli specchi, dal titolo altisonante e generico a favore dei prodotti trattati chimicamente, basata su un frullato strumentale, confusionario ed improbabile della questione “propietà nutritive- assenza di prodotti dannosi” (fermo restando che, purtroppo,come accenna anche lei, ormai nel pianeta Terra è impossibile sperare di nutrirsi con qualcosa che sia sicuro al 100 da ogni punto di vista, quindi bisogna scegliere il male minore).
    Concordo completamente con lei anche sul tema “prodotti a km zero” anche perchè appartengo alla schiera di persone, per fortuna in crescita, che ha una visione più ampia rispetto al piatto che mette in tavola, poichè scegliere come riempirsi lo stomaco, è una questione salutistico-sanitario, sociale, economica, ambientale ed addirittura riguarda il futuro di tutti.
    Mi preme però approfonndire la questione da lei aperta “allevamenti intensivi”, e spero di farle cosa gradita riportandole qui alcuni link che, una persona intelligente come lei, troverà sicuramente interessanti:
    http://www.announo.tv/2015/05/dentro-la-carne-linchiesta-choc-sugli-allevamenti-intensivi
    http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-d2b744b3-10f0-4bef-b830-0f7a8c29619b.html
    E, a proposito di controlli: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1873_allegato.pdf
    Per mero esempio di quest’ultimo doc ministeriale, interessante quanto inquietante, riporto una delle percentuali in esso citate: “VITELLI : l’attività di controllo ha interessato il 16 % circa degli allevamenti presenti sul territorio nazionale; sono stati ispezionati n° 4032 allevamenti su un totale di n° 25571, e le infrazioni riscontrate sono state n° 892” = 16% allevamenti controllati quindi NON controllati l’84%.= ispezionati 4032 allevamenti, sanzionati 892 quindi NON in regola 1 su 4 (di quelli controllati)!
    So che sto commentando in maniera prolissa ma queste tematiche sono un “Vaso di Pandora”, contenente micro e macro problemi concatenati: la questione delle diverse tipologie di allevamenti che i “controllori”continuano a tollerare nonostante dovessero essere abbandonate da anni secondo i dettami Comunitari (Es. il divieto europeo di allevare le galline ovaiole in ‘batteria’, datato 1° gennaio 2012 ecc.) ; c’è la questione del tragico impatto degli allevamenti intensivi su acqua, aria e terra tanto che intere porzioni geografiche diventano inquinate e pericolose; c’è la questione che per colpa delle bombe di antibiotici e cortisonici dati a questi “animali-macchine” per farli sopravvivere in condizioni assurde ed ingrassare in fretta, noi stiamo tornando a morire per patogeni diventati farmacoresistenti, come denunciato dall’OMS e dall’EFSA ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/18/resistenza-agli-antibiotici-e-allevamenti-intensivi-un-pericolo-paragonabile-al-terrorismo/956842 ; http://www.altroconsumo.it/alimentazione/sicurezza-alimentare/news/antibiotici-nella-carne) , c’è la questione delle patologie causate da iperalimentazione e alimentazione carnea e della relativa spesa sanitaria sociale, c’è la questione che questo tipo di alimentazione NON può alimentare la crescente popolazione mondiale e non è compatibile con la superficie terrestre pro-capite che abbiamo a disposizione, che NON è illimitata, e potrei continuare con i conflitti bellici attualmente esistenti nel mondo per litigarsi terra e acqua, la questione dei profughi “alimentari” , la questione delle monocolture e degli Ogm brevettati dalle lobby, ma dovrei chiedere all propretario del blog di concedermi uno spazio apposito.
    Tornando alla spesa e al pranzo,nel frattempo che legge i link che le ho riportato io cucino, bio e veg, perchè non voglio fare del male né alla mia salute, né al mio prossimo (vicino o lontano che sia),né alla Terra, né agli animali.
    Scelta personale, libera, volta ad impattare il meno possibile.

  4. Io non mi dilungherò in discorsi ma non leggo più quella rivista da quando (più di un anno fa) hanno fatto una serie di articoli che mi hanno subito fatto capire quali sono i loro veri interessi. Un articolo firmato da una nutrizionista che parlava di bere acqua di rubinetto e tanta e che non c’era motivo di bere acqua minerale (non un cenno all’acqua Kangen), un altro articolo a più pagine in cui si diceva che dal punto di vista nutrizionale gli alimenti biologici non sono migliori di quelli “normali” (solo alla fine un trafiletto accennava ai residui di pesticidi che comunque erano ben al di sotto della soglia di legge), e poi un altro articolo sui forni a microonde in cui una nutrizionista spronava i lettori a cucinare i cibi col microonde per la qualità della cottura e che gli studi sulla sua nocività erano da considerarsi leggende metropolitane.
    Posso aggiungere altro????
    ALTRO CONSUMO….. SCRIVETEVI E LEGGETEVI

  5. Purtroppo la rivista Altroconsumo sta davvero perdendo di credibilità. E nel numero 296 di ottobre 2015, successivo a quello citato dal post, tocca definitivamente il fondo con l’articolo “Vegani… in salute?”. L’articolo è chiaramente volto a definire i vegani come degli ossessionati del salutismo, che però hanno – a detta loro – un’alimentazione squilibrata e rischiano gravi carenze. Ebbene, boiate! Io e mia moglie siamo vegani e francamente non abbiamo alcun tipo di problema o carenza, anzi… tutto il contrario!
    Conosciamo persone che sono vegane da oltre 50 anni e che hanno svezzato e cresciuto figli in modo vegano al 100%. Non si prendono neanche un raffreddore.
    Mi pare evidente che Altroconsumo ultimamente sia ben foraggiata dalle lobby dei potenti industriali… altro che “indipendenti”!!!

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