Ci sono immagini che valgono più di mille parole. E, a volte, quando cerchi le parole giuste per raccontare qualcosa le immagini possono venirti in aiuto.
Passeggiavo, come d’abitudine, con la macchina fotografica appesa al collo, durante uno di questi freddi pomeriggi di fine inverno, attraverso alcuni splendidi tratti ancora ben conservati delle murge di sud-est, tra le Puglie a cavallo tra Bari e Taranto. Il vento sferzava da occidente e le nuvole basse riempivano il cielo con incombente incedere. Il sole faceva capolino tra gli strati bianchi, mentre batuffoli come grigia ovatta scorrevano al di sotto di quella coltre. Il paesaggio, segnato da lame e gravine di un antichissimo reticolo idrografico forgiato dalla forza degli elementi, era mozzafiato.
I campi ancora ghiacciati iniziavano pian piano ad assorbire i flebili raggi, gli ulivi argentati oscillavano sinuosi ad ogni folata e la macchia mediterranea ammantava i morbidi pendii.
Sullo sfondo, in lontananza, quasi impercettibili, alcune pale eoliche di recente impianto segnavano il limite dell’orizzonte.
Mi sono fermato e ho scattato. Volevo congelare tutto quel movimento. Volevo arrestare quell’invisibile moto d’ogni elemento nel paesaggio, sebbene non vi fosse alcun animale in azione nella scena. Tutto ciò che poteva sembrare immobile, in realtà, si muoveva. E lo faceva con solenne portamento.
Riguardando questa foto, una volta tornato a casa, ciò che ha attratto di più la mia attenzione è stato proprio l’elemento più piccolo dell’immagine, il più apparentemente insignificante: il gruppo di pale eoliche sullo sfondo.
Sembra quasi che non sia il vento a muovere quelle microscopiche girandole, ma che proprio da esse provenga una forza talmente potente da spingere le nuvole nella direzione dell’osservatore.
Quello scatto mi ha fatto pensare che, come vento che lentamente sposta le nuvole sopra di noi, le pale eoliche stanno invadendo lo spazio che compone il paesaggio. Non sono certo d’impatto come centrali elettriche, né devastanti come file di pannelli solari installati al suolo. Non sono brutte. Neanche belle.
Semplicemente non sono.
Per chiarire a me stesso quanto davvero fossi avverso a quella presenza nell’ambiente, ho provato a immaginare questa foto senza le pale sullo sfondo. Sarebbe stata diversa? Più bella? Più brutta? Il paesaggio avrebbe avuto un miglior impatto visivo e si sarebbe impresso diversamente sul sensore della macchina fotografica? Non lo so, non sapevo cosa pensare.
Ho guardato e riguardato questa foto, fingendo di non conoscere nulla sui mutamenti climatici, sull’effetto serra, sui combustibili fossili e sulle risorse rinnovabili. Ho cercato di capire cosa, nel profondo, mi infastidiva di quegli infimi elementi dell’immagine che tanto mi avevano colpito. Forse il biblico ricordo di croci sul monte Calvario, ma da agnostico non è mai stato un mio cruccio. Sarà che all’occhio di esseri con istinti e cuore da scimmie e menti da umani robotizzati la presenza di un elemento fuori luogo nel campo visivo non passa inosservato. Nonostante l’abitudine all’ambiente artefatto e antropizzato.
Così, al di là delle lotte di fazione tra petrolieri e ambientalisti, al di là del parere di architetti e paesaggisti, di ornitologi preoccupati per i rapaci decapitati da quelle pale o di residenti costretti a indossare le cuffie per il monotono rumore rotante, ho capito che quella sensazione d’intrusione è quanto di più naturale possiamo percepire.
Questa foto, alla fine, ha annullato in me qualunque altro dubbio sull’eolico e mi ha lasciato con una sola domanda: poiché si tratta di una tecnologia basata su una risorsa rinnovabile, dovremmo chiudere un occhio per non accorgerci di quanto essa sia in grado di modificare un’immagine, così come un paesaggio?
Sono andato via da quel luogo. Qualche giorno dopo, ripassando da quelle parti, anche l’ultimo dilemma ha trovato una risposta. Mi sono avvicinato al problema. L’ho guardato da un’altra prospettiva. Ho scattato ancora. E ancora una volta un’immagine è valsa più di mille parole. Questa seconda immagine era la risposta.
Non possiamo permettere che la bellezza unica del paesaggio italiano venga adulterata dalla presenza di qualunque soluzione alla nostra ingordigia energetica. Non possiamo permetterci di devastare quel poco di belle e naturale che è rimasto non coperto da colate di cemento.
Le soluzioni energetiche sostenibili devono restare nei pressi dei problemi che ne hanno creato la necessità. I pannelli solari devono essere installati sui tetti delle abitazioni e non sui suoli fertili o prendendo il posto di boschi e murge. Le pale eoliche devono girare dove il vento soffia vicino alle aree industriali o alle periferie più prossime delle città e non tra masserie antiche e ulivi secolari.
Si può mentire alla mente, si può ingannare il cuore, ma gli occhi sanno sempre trovare l’essenziale proprio dove ci sembra invisibile. Basterebbe iniziare a eliminare il superfluo sullo sfondo.
Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D.
Biologo ambientale ed evolutivo
Pubblicato su Villaggio Globale di Marzo 2015