Non basta dire “Parco” per proteggere la Natura

L’Italia è messa meglio di molti altri paesi, ma la conservazione deve essere estesa

Le attuali aree strettamente protette in Europa sono lontane dall’obiettivo UE 2030

Il caldo torrido, le piogge torrenziali, gli inverni glaciali, tutti al di sopra delle medie stagionali stanno portando, con estremo ritardo, l’attenzione dell’opinione pubblica sulle conseguenze dei cambiamenti climatici. Ora, non avendo ascoltato due decenni di allarmi da parte degli scienziati, il mondo si sveglia nell’era del clima estremo. L’attenzione di tutti è su termometri, energia, siccità, ma dell’altro, altrettanto fondamentale, cambiamento globale causato dalle nostre scellerate azioni, ovvero la sesta estinzione di massa della biodiversità, si parla ancora troppo poco. Durante la storia della vita sulla Terra, si stima che quasi il 90-98% di tutte le specie esistenti si sia estinto.

Si ritiene che le cinque precedenti estinzioni di massa abbiano avuto cause piuttosto diverse, ma sempre di tipo geologico (vulcani, asteroidi, etc.). Quando, dopo un’estinzione di massa, la biodiversità si è ripresa e ha raggiunto i livelli precedenti, spesso aveva una composizione di specie notevolmente diversa. Questa sesta estinzione invece, che avviene da quando l’uomo ha iniziato a distruggere pesantemente ecosistemi e specie in tutto il globo, ha una causa non geologica, ma biologica, dovuta a un’unica, la nostra specie come non era mai accaduto nella storia della vita sulla Terra.

Per far fronte a questo catastrofico cambiamento globale, nel maggio 2020, presso la Commissione Europea, è stata firmata la “Strategia europea per la biodiversità per il 2030”, un piano ambizioso per proteggere la biodiversità e invertire il degrado degli ecosistemi. Con questa strategia, l’Unione Europea mira ad espandere la rete delle aree protette fino al 30% del suo territorio, applicando una protezione integrale del 10% della superficie terrestre e marina per tutti i paesi dell’UE. Sebbene questa superficie potrebbe non essere sufficiente per garantire la conservazione della biodiversità, rappresenta un elemento fondamentale che contribuisce alla conservazione a lungo termine dei processi ecosistemici e al mantenimento di alti livelli di persistenza della biodiversità.

L’obiettivo di proteggere integralmente il 10% della superficie UE è ambizioso per i paesi europei che sono stati profondamente modellati da millenni di uso del suolo e impatto antropico. In uno studio recente, abbiamo analizzato le aree rigorosamente protette (classificate dall’IUCN come riserve integrali e parchi nazionali) in tutta l’UE, studiando quanto è estesa protezione integrale a livello di regioni biogeografiche, paesi e gradienti di elevazione. Abbiamo scoperto che l’attuale area strettamente protetta nell’UE27 è estremamente sbilanciata tra regioni biogeografiche, paesi e fasce altimetriche (ad esempio, troviamo pochissime aree strettamente protette in pianura e a basse quote) e, con rarissime eccezioni (solo la Svezia è sopra la soglia individuata dall’UE, con la Finlandia molto vicina), non raggiunge l’obiettivo del 10% di protezione rigorosa. Sarà, pertanto, necessario lavorare per avvicinarci agli obiettivi di conservazione fissati dalla Strategia UE 2030 per la biodiversità attraverso una rigorosa azione di cooperazione internazionale tra i paesi e l’impegno dei singoli stati all’individuazione di aree nazionali da destinare a protezione.

Il nostro studio rileva, inoltre, che lo scenario attuale potrebbe, molto probabilmente, essere persino peggiore di quello che risulta poiché la gestione di alcune aree protette, come le zone periferiche dei parchi nazionali, non è sempre corrispondente a una protezione integrale. Alcuni parchi nazionali, infatti, pur essendo classificati come strettamente protetti, consentono un’ampia gamma di attività antropogeniche in alcune delle loro aree (ad esempio la silvicoltura, l’agricoltura, la caccia o il pascolo di animali domestici), ostacolando la conservazione di alcuni processi ecosistemici. Succede spesso, anche nelle zone B e C dei parchi nazionali italiani di trovare interventi umani e infrastrutture che non sono molto compatibili con la “Natura protetta”. È, invece, fondamentale preservare ampi spazi senza (o con molto limitato) disturbo antropico per garantire una reale conservazione biologica.

L’Italia è messa meglio di molti dei 27 paesi UE (si classifica al 4° posto come percentuale del territorio nazionale protetto e al 2° come superficie di Parchi Nazionali), ma è ancora molto lontana dagli obiettivi del 10%. L’area strettamente protetta nel nostro Belpaese è dello 0,2% con riserve integrali e del 4,9% con parchi nazionali, per un totale di 5,1% di protezione integrale. Significa che siamo a metà strada (basti pensare che dal nostro studio emerge che la Francia non supera lo 0,8% e la Germania lo 0,6%), ma c’è ancora molto da fare. Non va dimenticato che siamo campioni europei di biodiversità (e non solo di calcio), ma se continueremo a depauperare boschi, montagne e coste con politiche venatorie, urbanistiche, forestali e, in generale, antropocentriche così scellerate come quelle messi in atto negli ultimi anni, non solo rischiamo di perdere questo primato europeo, ma ci allontaneremo sempre di più dagli obiettivi al 2030.

Le aree strettamente protette, di cui l’UE chiede l’estensione, sono aree completamente e legalmente preservate, designate per la conservazione e/o il ripristino dell’integrità delle aree naturali ricche di biodiversità e dei i processi ambientali naturali. I processi naturali sono quindi lasciati sostanzialmente indisturbati, privi delle pressioni e delle minacce umane alla struttura e al funzionamento ecologico complessivi dell’area, indipendentemente dal fatto che tali pressioni e minacce si trovino all’interno o all’esterno dell’area strettamente protetta. Questa definizione dà un’idea chiara di ciò che dovrebbe essere considerato strettamente protetto nel contesto dell’UE. All’interno di queste aree tutti gli usi e le attività industriali, estrattive e distruttive che disturbano le specie e gli ecosistemi come l’estrazione mineraria, la deforestazione, l’acquacoltura e l’edilizia, ecc. di solito non sono consentiti. Invece di discutere su dove e come estendere le aree strettamente protette, in Italia si parla sempre di più di controllo venatorio anche nelle aree protette, di riduzione delle popolazioni degli animali selvatici, di privilegiare lo svago umano rispetto alla conservazione delle specie selvatiche, di liberalizzare appalti edili e sussidiare la selvicoltura, le biomasse e la gestione forestale. Tutte pratiche che vanno nella direzione esattamente opposta a quanto richiesto dall’Europa.

Le aree integralmente protette sono efficaci solo se lasciate sostanzialmente indisturbate, con attività umane limitate e ben controllate che non interferiscono con i processi naturali. Possono essere consentite azioni di gestione per sostenere o migliorare i processi naturali, nonché il ripristino o la conservazione degli habitat e delle specie per la cui protezione l’area è stata designata.

Quindi sarebbe necessario identificare aree potenziali per espandere la protezione integrale europea con bassi costi economici e sociali, comprese, ad esempio, zone con un alto valore di biodiversità, ma bassa popolazione e sfruttamento del territorio. Considerando, però, che in Europa la maggior parte del territorio è stato profondamente modificata dall’uomo, le aree rigorosamente protette dovrebbero comprendere anche territori che possono recuperare il loro valore di biodiversità attraverso il ripristino e il rewilding. Per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Strategia UE 2030 per la biodiversità, sarà innanzitutto necessario individuare un’area sufficiente da proteggere integralmente per un 10% di ciascun paese membro.

Se saremo in grado di capire che come per il clima, anche per la biodiversità ritardare le azioni e ignorare il problema sino a quando non è troppo grave è una strategia poco lungimirante ed è necessario agire con urgenza (anche perché una specie o un ecosistema non li si riporta in vita accendendo un condizionatore, come si pensa semplicisticamente di risolvere il riscaldamento globale), allora potremo sperare di rivedere almeno un assaggio di quello che autori come Maupassant, Goethe e molti altri artisti dei secoli passati vedevano attraversando l’Europa e l’Italia: una vastità di meravigliosi ambienti naturali, piante e animali selvatici ovunque, natura selvaggia che ancora resiste all’interferenza e alla bulimia umana.

Roberto Cazzolla Gatti

Professore di Biologia della Conservazione e Biodiversità

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Pubblicato sul numero di Ottobre 2023 di InNatura

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