Una strana roccia: cosa sarebbe il pianeta Terra senza Gaia?

E cosa la nostra specie può fare prima che torni ad essere pietra…

Abbiamo una scelta, proprio lì davanti ai nostri occhi, urgente, improcrastinabile: riportare il nostro pianeta al livello della pura fredda pietra riscaldandolo fino a fonderne la vita che ospita oppure proteggere quella rarissima vita per farla propagare oltre la nostra “strana roccia”. È così, One Strange Rock, che è stata definita la Terra dagli autori del National Geographic in una serie di successo commentata da Will Smith. E in effetti questa “strana roccia” che ci ospita nel fulmineo passaggio della nostra esistenza è davvero strana. Respira, innanzitutto, e mentre lo fa sposta le polveri del deserto del Sahara verso la foresta Amazzonica, che la fertilizza e la fa crescere rigogliosa. Gli alberi, alti anche 40-50 metri del polmone verde del pianeta risucchiano con le loro radici (spesso enormi, dotate di imponenti contrafforti) acqua dal suolo su cui camminano dal più piccolo ragno tropicale al giaguaro in agguato. L’evapotraspirazione che ne consegue permette la formazione delle nuvole che possono, però, aggregarsi solo grazie a una sostanza nota come dimetilsolfato (DMS) prodotta dalle alghe oceaniche che permettono alle goccioline d’acqua di trovare nell’atmosfera terrestre dei punti di ancoraggio (noti come nuclei di condensazione) che addensano bianchi cumuli sul tappeto verde sudamericano. Il vento, conseguenza dello spostamento di masse calde e fredde dall’oceano alle foreste, spinge le nuvole verso la catena montuosa delle Ande che, data la sua mole, ne arresta il cammino in aria causandone il passaggio di materia, da vapore a liquido. Questa condensazione, come quella che avviene mentre facciamo la doccia sullo specchio, rilascia tra 2 e 3 mila millimetri di pioggia all’anno erode le montagne che, attraverso i numerosi fiumi del continente, riportano enormi quantità di minerali verso l’oceano dove vivono le diatomee, piccole alghe rivestite di una sorta di scrigno in silicio, detto frustulo dai botanici). Così, queste alghe crescono rigogliose grazie all’apporto di preziosi nutrienti disciolti dalle montagne, producono ossigeno e assorbono CO2. Nel frattempo, sviluppandosi, riemettono il DMS che aiuta la formazione delle nuvole. Quando muore, però, la diatomea trasporta il silicio, donato dalle montagne disciolte dalle piogge formate dalla fortesta tropicale, sul fondo dell’oceano. Qui può rimanere depositato per centinaia, migliaia e anche milioni di anni, ma i movimenti di quella sorta di zolle (le placche tettoniche) presenti all’interno dalla “strana roccia”, dovuti alla fluidità del magma, formatosi dallo condensazione del gas cosmico, che cerca di vedere il sole premendo dalle profondità del nucleo terrestre, è in grado di riportare i minerali su alte vette come quelle andine.

Questa “strana roccia” non solo respira, ma danza. Lo fa con la Luna, risultato della collisione della Terra con un pianeta gemello, che orbitandole intorno infliuenza le maree e l’intera vita presente su di essa. Quell’urto che ha dato vita al satellite celebrato dai poeti, ha anche inclinato l’asse terrestre durante la sua rotazione e rivoluzione intorno all’astro che alimenta tutti i suoi esseri. L’inclinazione è tale da far variare il livello di irragiamento solare sugli emisferi boreale e australe, così da formare le stagioni che regolano i cicli della biosfera.

Il visionario geochimico russo Vladimir Vernadsky suggerì l’esistenza di una biosfera interconnessa alla geosfera. Alcuni anni dopo, la microbiologa americana Lynn Margulis contribuì allo sviluppo di una teoria endosimbiotica su vasta scala, anticipata dall’idea di Biosfera di Vernadsky, che supportava l’idea che il pianeta Terra fosse un grande sistema simbiotico e autoregolato sostenuto da una complessa retroazione tra componenti biotiche e abiotiche. Questa idea fu riassunta nell’Ipotesi di Gaia dal geniale scienziato britannico James Lovelock nel 1972. Negli ultimi 50 anni, una delle critiche più frequenti all’esistenza di una vita che si autoregola controbilanciando i cicli geochimici è stata che l’ipotesi di Gaia implica una sorta di teleologia, ovvero di lungimiranza cosciente o di pianificazione da parte della vita stessa.

Lynn Margulis, nel suo libro intitolato “Pianeta simbiotico” (un titolo che ricordava l’osservazione di un suo studente che “Gaia non è altro che una simbiosi vista dallo spazio”) scriveva: “siamo simbionti su un pianeta simbiotico e, se siamo disposti a osservare, possiamo trovare le simbiosi ovunque”. Attualmente, l’idea che il biota (ovvero l’insieme degli esseri viventi) sulla Terra possa mantenere condizioni favorevoli per la vita stessa in modi diversi e talvolta poco chiari alla scienza (cosa che in effetti ha fatto sin dalla comparsa delle prime forme di vita circa 4,1 miliardi di anni fa) è ampiamente accettata. Tuttavia, la forma più radicale della teoria di Gaia sostiene che gli esseri viventi agiscano efficacemente come se fossero un sistema unico e auto-organizzativo per mantenere la Terra in una sorta di equilibrio che è vantaggioso per la vita stessa e non trova il favore di alcuni scienziati. Recentemente, in un articolo scientifico pubblicato sulla rivista Futures (Cazzolla Gatti, R. 2018. Is Gaia alive? The future of a symbiotic planet. Futures, 104, 91-99) ho suggerito il perché e il come Gaia dovrebbe essere considerata viva in qualsiasi senso evolutivo. Con il termine “Gaia” ho inteso il sistema composto da elementi simbiotici (la biosfera) e abiotici (l’atmosfera e la geosfera) che interagiscono e coevolvono. In quello studio ho cercato di mantenere la porta aperta al dibattito fondamentale su come il nostro pianeta funziona e mantiene la sua stabilità. Ho proposto, con un ragionamento logico-induttivo e argomentazioni analogiche che, senza invocare la teleologia, quindi senza alcuna previsione o pianificazione, un pianeta gaiano possa essere considerato come un sistema simbiotico coevolutivo, analogo a un corpo pluricellulare e, soprsattutto, in grado di riprodursi. Le cellule coevolvono insieme a un corpo come gli individui o le specie coevolvono con Gaia. In questo modo, ho avanzato l’idea che Gaia possa essere selezionata naturalmente. Questa capacità riproduttiva, insieme alla definizione del suo ambiente esterno e dello scambio energetico a cui partecipa, può conferire definitivamente a Gaia lo status di sistema vivente.

Alcune implicazioni derivano da questa evidenza. Prima di tutto, sembra ovvio che solo se un sistema gaiano è sano, differenziato e omeoretico, è in grado di evolvere fino alla sua fase riproduttiva. Se la biodiversità e gli ecosistemi non venissero preservati durante l’Antropocene, fino alla riproduzione del nostro un sistema gaiano, la propagazione del genoma planetario non potrebbe procedere.

La maggior parte degli scienziati concorda sul fatto che le attività umane durante l’Antropocene abbiano accelerato il tasso di estinzione delle specie, che sta causando la sesta estinzione di massa sul nostro pianeta. L’Homo sapiens sapiens (la nostra specie) è, quindi, una specie davvero importante, capace persino di influenzare la “strana roccia” di cui fa parte, ma è la più importante per Gaia. Gli esseri umani potrebbero agire come cellule germinali che trasportano uno specifico genoma planetario, ma è improbabile che possano riprodursi (o sopravvivere disconnessi da Gaia) su un altro sistema gaiano, come alcuni film fantascientifici fanno credere. Piuttosto, come uno spermatozoo che perde il suo flagello e l’acrosoma mentre entra nell’ovulo di un altro corpo, cambiando quindi la sua identità, un essere umano può essere considerato solo come portatore dell’informazione genetica del corpo di cui è parte (ovvero, di Gaia) e non di se stesso: un mezzo più che un obiettivo. Molte altre specie si sarebbero potute evolvere e agire come unità germinali di propagazione, ciò può essere accaduto su altri pianeti gaiani presenti nell’Universo.

Quindi, la nostra specie potrebbe agire sia come cellula germinale, trasferendo il genoma di Gaia su altri pianeti, permettendo, quindi, la sua riproduzione oppure, se continuerà a crescere e distruggere incondizionatamente la Terra e a consumare risorse fondamentali per la sopravvivenza degli altri componenti della biosfera, come una cellula cancerogena, danneggiando Gaia con una malattia delle sue cellule somatiche (le altre specie) e dei suoi organi (gli ecosistemi) che, successivamente, interesserà le sue stesse cellule germinali (gli esseri umani), impedendole ogni possibilità di riproduzione.

Lo scopo della vita, che è quello dei biota e delle biosfere e, quindi, è quello di un sistema gaiano, pur non essendo previsto o pianificato, non è altro che la pura propagazione di se stessa. La nostra specie, come risultato di miliardi di anni di evoluzione e differenziazione simbiotica (o meglio, dal punto di vista di una cellula, di “sviluppo”), avvenuti su “questa strana roccia” fino ai giorni nostri dell’Antropocene, ha la possibilità e il privilegio di consentire la continuazione e l’evoluzione di Gaia. Supponendo di avere questa possibilità e questo onore/onere, sorgerebbe nella nostra specie l’obbligo morale di permettere la riproduzione di Gaia, che richiederebbe due condizioni: primo, è necessario che mantenere viva e sana la biodiversità e gli ecosistemi all’interno di Gaia e continuare a studiarli e proteggerli, perché sono le componenti essenziali di supporto del suo corpo; secondo, dovremmo dedicare le nostre energie alla ricerca di altre “strane rocce gaiane” presenti nell’Universo e, cosa più importante, ai progressi tecnologici per trasferire il genoma di Gaia su altri siti riproduttivi potenzialmente idonei (pianeti disabitati e/o abitati).

Per raggiungere la prima condizione è fondamentale arrestare la perdita di specie, che è aumentata drammaticamente negli ultimi secoli dell’Antropocene, e l’impoverimento e la distruzione insostenibili degli ecosistemi. Allo stesso tempo, è essenziale mitigare e consentire l’adattamento della nostra e di altre specie (ovvero, della biosfera) ai cambiamenti globali attuali e futuri iniziati nell’Antropocene, come è sempre avvenuto nelle ere geologiche passate.

Per far sì che avvenga anche la seconda, essendo plausibili almeno mezzo milione di pianeti gaiani nella Via Lattea, ovvero molte potenziali strane rocce per Gaia, la specie umana dovrebbe mutare la sua fama di distruttrice della Terra in un ruolo protettivo e riproduttivo per Gaia. Il nostro pianeta simbiotico, trasferendo il suo genoma planetario per mezzo di biofore attraverso le sue cellule germinali umane, potrebbe iniziare la riproduzione delle “infinite forme bellissime” con le quali condividiamo la nostra vita su altre strane rocce dell’Universo.

La nostra specie troverebbe così un senso e un ruolo nell’universo evolutivo, ma potrà farlo solo se sarà in grado di proteggere la vita sulla strana roccia che chiamiamo Gaia e le permetterà di riprodursi al di fuori del suo corpo prima che torni ad essere una semplice pietra fluttuante nello spazio una volta che il nostro vecchio sole smetterà di brillare.

Roberto Cazzolla Gatti

Professore di Biologia della Conservazione

Università di Bologna

*Pubblicato su Villaggio Globale – Trimestrale di Ecologia di Marzo 2023