A cosa servono i virus?

Ciò che sta costringendo mezza umanità ai domiciliari nel 2020 è, in realtà, uno dei principali motori dell’evoluzione biologica e dell’intera storia naturale del nostro pianeta

Quando, cinque anni fa, lavoravo alla teoria dell’endogenosimbiosi mai avrei potuto immaginare che buona parte dell’umanità sarebbe stata coinvolta da una pandemia virale che avrebbe costretto la quasi totalità degli individui della nostra specie a chiedersi: ma questi virus, che tanto ci spaventano, a cosa servono davvero e che ruolo hanno in Natura?

Quindi, per provare a rispolverare alcune risposte a queste domande, ripropongo quanto scriveva il direttore della rivista Villaggio Globale nel 2016 in seguito alle prove, derivanti da studi empirici condotti da parte di team di ricerca indipendenti, a conferma della mia ipotesi sull’evoluzione endosimbiotica della vita sulla Terra. Nel 2018, sulla scorta di queste evidenze empiriche che hanno avvalorato la mia ipotesi trasformandola in una teoria, ho tentato una formulazione organica della Teoria Unificata della Simbiogenesi (UST) che è stata pubblicata sulla rivista Theoretical Biology Forum (Cazzolla Gatti, R. 2018. Endogenosymbiosis: from hypothesis to empirical evidence towards a Unified Symbiogenetic Theory (UST). Theoretical biology forum, 111(1-2): 13-26) e di cui riporto (in basso) una figura riassuntiva.

Da Villaggio Globale (di Ignazio Lippolis) del 3 Ottobre 2016 “Ci evolviamo grazie ai virus“:

Il biologo italiano suggerisce che la riproduzione sessuale agisca come un sistema conservatore contro l’inserimento di nuove varianti genetiche nel DNA delle cellule (col supporto dei sistemi di riparazione del DNA) e, invece, l’evoluzione delle specie può avere luogo solo quando questo sistema di conservazione fallisce nel contrastare l’inserimento, all’interno del genoma dell’ospite, di parti di DNA esogeni (e RNA) provenienti dai «parassiti» obbligati, come virus e fagi, che stabiliscono una simbiosi con i loro ospiti.

Una rappresentazione grafica dell’integrazione tra le teorie dell’endosimbiosi e dell’endogenosimbiosi. Le teorie dell’endosimbiosi seriale (SET; formulata da Margulis nel 1967) e dell’endosimbiosi secondaria (SE, formulata da Gibbs 1978) si fondono con la teoria dell’endogenosimbiosi (EGST, formulata da Cazzolla Gatti 2016) in una Teoria Simbiogenetica Unificata (UST). Le frecce blu rappresentano eventi endosimbiotici; le frecce rosse tratteggiate rappresentano eventi endogenosimbiotici. Si noti il ruolo di virus, retrovirus e batteriofagi (frecce a, b, e, h) nell’inserzione di elementi genetici extracellulari all’interno della cellula ospite che entrano in simbiosi col DNA dell’organismo e, costituendone parte integrante, sono fonte primaria di “innovazione evolutiva” (tratto da Cazzolla Gatti, R. 2018. Endogenosymbiosis: from hypothesis to empirical evidence towards a Unified Symbiogenetic Theory (UST). Theoretical biology forum, 111(1-2): 13-26; nel testo dello studio è possibile trovare i dettagli e le spiegazioni di questa figura).

L’endogenosimbiosi (dalla combinazione delle parole: endo-geno-simbiosi), ovvero la capacità dei «portatori di geni» (in inglese: gene carriers), quali virus, retrovirus e batteriofagi, di condividere parti del loro genoma in un rapporto simbiotico endogeno con i loro ospiti, è stata proposta nel 2015 da Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D., professore associato presso il Biological Institute della Tomsk State University (Russia), in un articolo caricato su bioRXiv e pubblicato nel marzo di quest’anno sulla rivista «Biologia».

Questa ipotesi prende spunto dall’endosimbiosi, proposta da Lynn Margulis nel 1967, ed è stata suggerita per spiegare un altro processo (oltre ai modelli evolutivi classici di mutazione-adattamento e di simbiogenensi) che permette l’espansione della diversità della vita sul nostro pianeta.
Il dott. Cazzolla Gatti ha sostenuto nella sua ipotesi che «la causa più probabile dell’evoluzione della riproduzione sessuale, ovvero il parassitismo, rappresenta anche l’origine della biodiversità». In altri termini, il biologo italiano suggerisce che la riproduzione sessuale agisca come un sistema conservatore contro l’inserimento di nuove varianti genetiche nel DNA delle cellule (col supporto dei sistemi di riparazione del DNA) e, invece, l’evoluzione delle specie può avere luogo solo quando questo sistema di conservazione fallisce nel contrastare l’inserimento, all’interno del genoma dell’ospite, di parti di DNA esogeni (e RNA) provenienti dai «parassiti» obbligati, come virus e fagi, che stabiliscono una simbiosi con i loro ospiti.
«Come due linee evolutive parallele — Cazzolla Gatti ha scritto nel suo articolo originale — la riproduzione sessuale sembra preservare ciò che l’endogenosimbiosi permette di diversificare. Con il primo processo, le specie possono adattarsi lentamente e a tempo indeterminato ai fattori esterni, regolando se stesse, ma non “creano novità” (ovvero, non si formano nuove specie, N.d.R.). L’endogenosimbiosi, invece, porta alla speciazione a causa di improvvisi cambiamenti nelle sequenze dei geni».
Questa idea mette in discussione i modelli di selezione naturale canonici, basati sulla gradualità del modello mutazione-adattamento, offrendo maggiore sostegno alla teoria dell’equilibrio punteggiato proposta da Jay Gould e Eldredge.
Ora, due studi indipendenti pubblicati di recente sulla rivista «eLife» (Henzy, J. E., & Johnson, W. E. 2016. Phylogenetic sleuthing reveals pair of paralogous genes. Elife, 5, e17224 and Enard, D., Cai, L., Gwennap, C., & Petrov, D. A. 2016. Viruses are a dominant driver of protein adaptation in mammals. Elife, 5, e12469) hanno empiricamente confermato l’ipotesi di Cazzolla Gatti e le hanno consegnato lo status di una nuova teoria evolutiva.
In primo luogo, il dott. Jamie E. Henzy e il dott. Welkin E. Johnson dal Boston College (Usa) hanno dimostrato che la complessa storia evolutiva delle Ifit (Interferon Induced proteins with Tetratricopeptide repeats), una famiglia di geni antivirali, è stata plasmata da continue interazioni tra gli ospiti mammiferi e i loro molti virus.
Poi, il dottor David Enard e colleghi presso l’Università di Stanford (Usa) hanno stimato che i virus hanno indirizzato quasi il 30% di tutte le modifiche adattive di aminoacidi nella parte del proteoma umano conservato all’interno dei mammiferi. I loro risultati suggeriscono che i virus sono uno dei fattori di cambiamento evolutivo dominanti per i proteomi mammiferi e umani.

«Non solo gli organelli possono stabilire simbiosi con altre cellule, come ha suggerito la dott. Lynn Margulis — ha sostenuto il dott. Cazzolla Gatti — ma interi frammenti di materiale genetico proveniente da parassiti simbiotici possono essere inclusi nel DNA ospite, modificando l’espressione genica e inducendo il processo di speciazione».
In precedenza, era stato stimato che circa il 7-8% di tutto il genoma umano contenesse circa 100.000 frammenti di DNA proveniente da retrovirus, noti come retrovirus endogeni. Ma attualmente abbiamo più prove a dimostrazione che si possa trattare di una sottostima e che la quantità del materiale genetico endogena proveniente da fonti esterne potrebbe essere molto superiore e molto significativa per l’evoluzione delle specie.
Insieme alla mutazione dei geni e all’acquisizione di organelli, dovremmo aggiungere un nuovo elemento alle teorie biologiche, considerando la simbiosi con «parassiti endo-genetici» un altro processo evolutivo fondamentale, che ora ha un nome: endogenosimbiosi”.

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D.

Biologo ambientale ed evolutivo

Professore associato, Biological Insitute, Tomsk State University, Russia

Research Fellow, Konrad Lorenz Institute for Evolution and Cognition Research, Austria