Seguire la passione: intervista a Roberto Cazzolla Gatti

da NelMese.it

a cura di Nicole Cascione

«Seguite la passione, non l’occasione di lavoro facile, spesso comodo, o la carriera. La nostra vita è unica e preziosa, ma può essere facilmente sprecata inseguendo la stabilità, la sicurezza piuttosto che il sogno. Tutti noi abbiamo un sogno e per quanto sia difficile lasciare casa, e la Puglia in particolare, la vita si tinge di nuovi colori se esploriamo, viaggiamo e osserviamo il mondo». La passione ha portato Roberto Cazzolla Gatti, di Gioia del Colle, in Siberia, dove alla Tomsk State University, ha il privilegio di lavorare su due fronti: la ricerca e l’insegnamento.

996951_437582496353838_977862148_nI suoi progetti futuri? «Due documentari sul Gabon e sulla Mongolia, un libro fotografico sull’Africa e uno in inglese sulla biodiversità».

Roberto, sei molto giovane eppure hai un curriculum ricco di esperienze interessanti e degne di note. Parlaci del percorso che ti ha portato a lasciare la Puglia.

«Da che mi ricordi, ho sempre preferito stare all’aria aperta. Credo che l’amore per la Natura sia presente in ogni bambino e poi molti lo perdano crescendo nel grigiore delle città. La Puglia con la sua magnifica e impareggiabile campagna è stata la mia naturale palestra di vita. Col passare degli anni, comprendere la Natura (con la maiuscola, che per me è d’obbligo) è diventata la mia ragione di vita, al punto che non è solo la scienza a guidarmi nel tentare di svelarne i suoi misteri, ma vi è anche una sorta di religiosa, artistica e spirituale attitudine. Proprio l’interesse verso la scienza e, allo stesso tempo, quello crescente nei confronti delle materie umanistiche e artistiche, sono stati il leitmotiv di questi anni di studi e ricerche. Poco prima d’iscrivermi all’università ho fondato la sezione locale del WWF e con questo gruppo prima e con la sede regionale poi, ho potuto fare molte attività, relazionarmi con politici e giornalisti, organizzare progetti e partecipare a campi di vigilanza ambientale e antibracconaggio. Con quel gruppo, poi, abbiamo raccolto dati per quattro anni sul territorio delle murge pugliesi di sud-est e ne è nato un libro edito da Adda Editore, che è ancora una delle guide naturalistiche sul territorio più consultate. In quegli anni ho conseguito una laurea specialistica in biologia ambientale ed evolutiva a Bari, dove la qualità d’insegnamento ritengo sia altissima, ma le possibilità di ricerca davvero limitate, così dopo aver seguito un master in protezione dell’ambiente globale e politiche internazionali a Roma, ho avuto il gran privilegio di lavorare tre anni per le Nazioni Unite come consulente scientifico negli uffici della FAO. È stata un’esperienza internazionale davvero molto importante per la mia crescita professionale. Avevo colleghi provenienti da tutto il mondo e mi passavano per le mani progetti da migliaia di dollari. Mi trovavo nella “stanza dei bottoni” a soli 25 anni! Dopo qualche tempo, però, mi è mancata la vera scienza, quella fatta di binocoli, calibri, provette e pinzette e soprattutto mi mancava la Natura. Nonostante uno stipendio invidiabile, pensavo spesso: “Questo non è il lavoro giusto per me”. Così da un giorno all’altro, nell’incredulità dei miei conoscenti e amici, ho lasciato le Nazioni Unite per dedicarmi completamente all’avventura e alla scienza. Sono partito per i Balcani e poi in Indonesia, da solo, per seguire la mia passione per la fotografia naturalistica e lavorare presso un centro di recupero della fauna selvatica e al ritorno sono diventato membro dell’IUCN (con cui ho scritto un libro sull’adattamento ai mutamenti climatici). Ho anche partecipato al concorso di dottorato all’Università della Tuscia di Viterbo. L’ho fatto non solo per poter continuare a fare ricerca, ma anche perché sapevo che un famoso professore di quell’università (il prof. Riccardo Valentini) aveva appena ricevuto un grosso finanziamento per studiare le foreste in Africa. Volevo assolutamente essere parte di quel progetto, ma per riuscirci dovevo classificarmi ai primi posti al concorso, così da poter scegliere il programma di ricerca preferito. Tutti mi dicevano che sarebbe stata un’impresa impossibile perché mi ero laureato in un’altra università e, soprattutto, in una del Sud e quindi non potevo competere con le conoscenze che avevano in quella stesa università i neolaureati di Viterbo. Ma se c’è una caratteristica che mi contraddistingue da sempre, nel bene e nel male, è l’ostinazione. Così ho studiato, ho svolto le tre prove e, contro ogni pronostico, mi sono classificato primo. Da quel momento sono stato in India, Australia e quindici volte in Africa, in sei diversi Paesi del continente, per cinque anni (due come ricercatore postdoc dopo il Ph.D.) a studiare le foreste tropicali. Ho vissuto per un mese con un gruppo di pigmei e ho scritto il mio primo romanzo “Il paradosso della civiltà” per denunciare ciò che il mondo occidentale sta realizzando a discapito di quei popoli e della loro natura. Poi ho pubblicato tre libri fotografici (la fotografia col tempo, da essere una passione, è diventata la mia seconda professione da freelance) su questi luoghi con l’Editore Villaggio Globale. Ora torno in Africa almeno una volta all’anno, collaborando con la fondazione FIGET che si occupa di ecoturismo. Mi sono ricreduto, il mal d’Africa non è solo una diceria… Dopo due anni come ricercatore Postdoc al Centro Euromediterraneo sui Mutamenti Climatici (CMCC) di Viterbo, le possibilità di ottenere altri finanziamenti per la ricerca erano scarse. Al CMCC ero parte di un gruppo molto importante e, devo dire, che sono stato trattato davvero bene, professionalmente e umanamente, e sono cresciuto molto, ma quando le tue prospettive non vanno oltre sei mesi di contratto o addirittura tre, come si può avere il tempo per formulare ipotesi, programmare test, realizzare campionamenti, etc.? Così ho pubblicato su alcune riviste scientifiche i dati raccolti negli anni precedenti in Africa, ho scritto e pubblicato un manuale universitario sullo studio della biodiversità e ho iniziato, di nuovo, a preparare i bagagli. Ancora non sapevo dove sarei “atterrato” stavolta, ma “il mondo non è mai troppo grande se visto attraverso le lenti di un ecologo (o di un fotografo naturalistico)” mi son sempre detto, anche un po’ per confortarmi. Ho inviato il mio curriculum a varie università all’estero e partecipato a molti concorsi. Dopo qualche settimana sono arrivate le risposte. Tra le lettere e le email con l’esito delle mie candidature ce n’era una che diceva: “In base alla nostra valutazione dei suoi titoli e delle sue pubblicazioni siamo felici di poterle offrire un posto da professore associato in ecologia e diversità biologica presso la Tomsk State University (TSU)”. Non potevo crederci. Ho letto l’indirizzo dell’università ed era in Russia. Ho cercato su Google Maps la località precisa ed era… in Siberia! L’offerta era allettante; credo che in Italia, ma anche in Europa, di questi tempi sia molto difficile diventare professori universitari a trent’anni. Il sistema è satollo, la ricerca non viene finanziata e la competizione è altissima e privilegia spesso “i figli di…”. Mi sono informato bene su questa università e ho scoperto, inaspettatamente, quanto sia prestigiosa (nelle tre più importanti di Russia e nelle 500 migliori al mondo!) e scientificamente avanzata. Dopo qualche settimana tutti i dubbi erano svaniti, stavo già chiedendo un visto per la Russia e prenotando un volo di sola andata in Siberia. Un’altra avventura stava per iniziare…».

Di cosa ti occupi nello specifico?

«Alla TSU ho il privilegio di lavorare su due fronti: la ricerca e l’insegnamento. Per il primo, nei laboratori del “Bio-Clim-Land Centre of Excellence” coordinato dal prof. Sergey N. Kirpotin, sto raccogliendo dati sul pressante problema dell’impatto dei mutamenti climatici sulla diversità biologica, che qui in Siberia è molto evidente. Studio gli adattamenti delle specie e la loro capacità di far fronte a cambiamenti così rapidi e drammatici. La mia domanda di base è: “Quante di queste specie saranno in vita tra qualche decennio e come ci riusciranno?”. Ho carta bianca su come e dove svolgere le ricerche e libertà nel creare gruppi di dottorandi e studenti da me coordinati per la raccolta dei dati. L’altra mia attività, l’insegnamento, è sempre stata per me fonte di grandi soddisfazioni. Mi piace trasmettere le conoscenze agli studenti (e spesso persino imparare da loro). Quando li vedo interessati alle mie lezioni sento che il mio dovere morale di trasmettere il sapere alle nuove generazioni, che è forse la più rilevante delle caratteristiche della specie umana, si sta compiendo. Qui alla Tomsk State University tengo corsi di Ecologia, Diversità Biologica ed Ecofisiologia agli studenti del corso di laurea in biologia e ai dottorandi. Il tempo non basta mai, è vero, ma unire ricerca e insegnamento a ciò che hai sempre fatto con passione è davvero entusiasmante».

Raccontaci qualche aneddoto legato alle culture differenti che hai avuto la fortuna di conoscere.

«Uno dei più divertenti che ricordi mi è capitato in Indonesia, dove ho vissuto in un villaggio per un mese, quando lavoravo presso un centro di recupero della fauna selvatica sull’isola di Java. La cena mi veniva preparata con cura e dedizione da una donna del villaggio e servita nelle tradizionali pentoline impilate l’una sull’altra. Quella graziosa signora del villaggio sapeva che sono vegetariano e mi cucinava ottime verdure al vapore, riso e soia. Il tutto era, però, sempre accompagnato da patatine croccanti rosate e leggere che a me parevano essere fatte di riso. Solo l’ultimo giorno, dopo averne mangiate tutte le sere, la signora mi disse in Bahasa: “Allora ti sono piaciute le nuvole di drago?”. La domanda mi fu tradotta in un inglese letterale da un collega tedesco come “Dragon’s clouds” e io non sapevo cosa rispondere. Per essere gentile dissi: “Sì tanto, grazie”. Poi, una volta che la signora andò via chiesi al ricercatore che mi aveva tradotto la domanda cosa fossero queste “nuvole del drago” e lui mi disse “Come? Le hai mangiate tutte le sere, sono quelle patatine fatte con la polpa di granchio!”. Non riuscivo a crederci, altro che cena vegetariana… Nel Ghana più rurale, invece, sono stato molto sorpreso dal modo di celebrare i funerali. Non sono cerimonie tristi, non piange nessuno. Hanno molto rispetto per il deceduto e indossano abiti per l’occasione, mangiano e ballano intorno al fuoco e cantano tutti. Il villaggio intero partecipa, ma è proibito essere tristi. Qualcuno lo chiama fatalismo, ma io credo che sia un modo per apprezzare di più la semplicità della vita nella sua danza infinita con la morte».

Come pensi che sarebbe andata la tua vita se fossi rimasto in Puglia?

Non so, difficile immaginarlo, ma sono andato via molti anni fa certo che prima o poi sarei ritornato e la mia idea non è mai cambiata. Se penso a un posto dove vorrei trascorrere la maggior parte della mia vita questo è proprio la Puglia. Per quanto sia bello e vario il mondo, credo che in quella regione del tacco d’Italia ci sia tutto ciò che serve per vivere felici, a parte il lavoro. E questo è ciò che spinge molti giovani ad andare via. Ma le politiche regionali e la lungimiranza dell’amministrazione Vendola negli ultimi anni hanno permesso ai ragazzi di formarsi, fare esperienza fuori per poi ritornare un giorno e continuare a dar splendore al gioiello che tutto il mondo invidia».

Nel tuo bagaglio, oltre ai taralli, cosa porti con te del tuo essere pugliese?

«Certamente il senso di appartenenza. Siamo sempre pronti a criticare l’Italia e il Sud perché le cose non vanno, ma dimentichiamo di quanto siamo fortunati ad esser nati nel belpaese e ad esser figli della terra, ovvero “terroni”. Perché con noi, nel nostro DNA, portiamo dietro secoli di cultura e creatività, un’intelligenza collettiva come nessun altro popolo al mondo. Siamo coloro che hanno inventato il Rinascimento e molto di ciò che ora è ritenuto simbolo di bellezza nel mondo. Nella letteratura, nelle arti, nello sport e nelle scienze siamo sempre stati geniali. Forse l’abbiamo dimenticato dopo le due guerre, ma oltre al cibo impareggiabile e alla natura d’inestimabile valore, siamo sempre stati gli innovatori del mondo, un popolo di menti originali. Spero che gli italiani, ovunque essi siano nel mondo e soprattutto coloro che sono rimasti o che stanno per ritornare, si ricordino che essere italiani significa esser gli eredi di Dante, Leonardo e Michelangelo. I contemporanei di Rubbia, Fo, Benigni e Roberto Baggio. È un onore e un onere che dobbiamo mantenere alto, esportando il meglio del nostro essere. La Puglia poi è come una sorta di tatuaggio indelebile, se ci nasci non puoi liberartene. Forse ciò che più caratterizza l’esser pugliesi è amare la bellezza della vita e questo non può che viaggiare con noi ovunque».

Hai coordinato per 5 anni, con WWF e Corpo Forestale dello Stato in qualità di biologo, il recupero e il primo soccorso della fauna selvatica in difficoltà per i Centri di recupero animali selvatici (CRAS) della Puglia e prestato servizio presso i campi WWF antibracconaggio sull’isola di Ischia e in Puglia. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?

«Lavorare con gli animali feriti e in difficoltà è entusiasmante e anche difficile. Purtroppo la maggior parte non ce la fa. Sono specie poco studiate persino dai veterinari e le cure adeguate spesso non ci sono. Ma per ogni vita che salvi provi una gioia tale da riuscire a superare tutto. Sai che potrai ridare la liberà a chi è nato davvero libero. Quando ho coordinato, per quasi dieci anni, il gruppo di attivisti WWF in Puglia, ogni primavera il nostro numero di telefono impazziva: volpi, tassi, falchi, corvi, persino tartarughe e serpenti. Tutti rinvenuti feriti, investiti o intossicati. Però era incredibile vedere decine di cittadini affannarsi per segnalarci, recuperare e consegnarci gli animali in difficoltà. È buon segno, vuol dire che stiamo imparando a riapprezzare il valore della Natura. In Puglia credo che questa sensibilità sia molto alta ormai. Il Corpo Forestale e molte associazione ambientaliste che operano sul territorio, svolgono un lavoro encomiabile e sono i primi difensori della biodiversità. Durante i campi antibracconaggio in Puglia e sull’Isola di Ischia ci sono stati momenti in cui abbiamo seriamente temuto per la nostra vita. I bracconieri sono senza scrupoli e possono puntarti un’arma addosso, così come spingerti giù da un burrone, senza pensarci troppo. Però l’adrenalina è tanta e se pensi che a fare le spese di quei mentecatti sono vite innocenti, la rabbia è tale da farti ignorare il pericolo».

Ogni quanto tempo torni nella tua terra?

«Quando facevo ricerca a Viterbo difficilmente riuscivo a star lontano dalla Puglia per oltre un mese. Tutto sommato in meno di 5 ore di treno ero sul lungomare di Bari a godermi un panzerotto come solo in Puglia sanno fare. Certo tra i tropici e l’università non sempre era possibile e adesso stando qui riesco a rientrare solo a Natale e in estate, ma per un po’ va bene. Faccio il pieno di famiglia, amici, sole e mare, mi ricarico e sono di nuovo pronto per la Siberia».

Qual è la cultura che ti ha trasmesso più valori?

«Ogni cultura che ho conosciuto è stata grande maestra di vita per me. In Africa impari molto più di quello che trovi scritto sui libri e viaggiando, in generale, scopri che non tutto ti viene insegnato a scuola. L’Oriente è certamente un luogo immenso e ricco di stimoli. I popoli, la storia e le tradizioni sono così affascinanti che la tua mente cambia, pensi in maniera diversa. Qui in Siberia, al confine tra Kazakistan, Cina e Mongolia dove vivo, la diversità culturale rispetto all’Occidente è tale che credi di essere su un altro pianeta. E ne sono felice perché sto scoprendo che l’ideale di vita che abbiamo non è per forza il migliore e nemmeno il più adatto a ciascuno di noi. Qui i valori sono altri».

Che consiglio daresti ai tanti giovani pugliesi in cerca della propria strada?

«Seguite la passione, non l’occasione di lavoro facile, spesso comodo, o la carriera. La nostra vita è unica e preziosa, ma può essere facilmente sprecata inseguendo la stabilità, la sicurezza piuttosto che il sogno. Tutti noi abbiamo un sogno e per quanto sia difficile lasciare casa, e la Puglia in particolare, la vita si tinge di nuovi colori se esploriamo, viaggiamo e osserviamo il mondo. Un giorno tornare sarà ancora più bello, perché saremo certi di aver vissuto davvero e di non esser solo dei sopravvissuti. Certo la passione è tutto, ma bisogna anche essere disposti a sudare molto. Le cose migliori della vita non sono mai semplici da ottenere e solo il duro lavoro ci permette di assecondare i nostri sogni. Ragazzi pugliesi la focaccia è sempre lì che ci aspetta, ma è necessario provare altri sapori per apprezzarla davvero».

Quali sono i progetti che vorresti realizzare nel tuo futuro?

«Unire l’arte (la fotografia e il documentario, soprattutto) e la scienza per capire meglio il mondo. Vorrei semplicemente far questo fino alla fine dei miei giorni. Ma so che quel “semplicemente” significa, in realtà, “con tutta la complessità di ogni esperienza”. Non c’è niente di facile, ma volere è davvero il nostro potere. Spero di poter continuare a fare ricerca, a scrivere libri, viaggiare e fotografare. Nell’immediato ho in progetto due documentari sul Gabon e sulla Mongolia, un libro fotografico sull’Africa e uno in inglese sulla biodiversità che sto preparando per la mia università. Poi chissà, mi piacerebbe girare un film sui pigmei, seguendo la sceneggiatura del mio romanzo ed esplorare il Sudamerica. E poi tornare in Puglia per realizzare qualcosa lì».

Indirizzi email: robertocgatti@gmail.com; robertocazzollagatti@mail.tsu.ru

Siti: www.robertocazzollagatti.com; www.facebook.com/paradossodellacivilta